Le
vicende di questa parte del 2013 hanno segnato l'Europa in modo
talmente marcato che non é impossibile, anzi é molto probabile, che
vi possano essere delle reazioni se non delle vere e proprie conseguenze. Certamente si pongono una serie
di profonde riflessioni e di interrogativi.
Non
tanto per entrare nel merito delle libere scelte esercitate
democraticamente dalle forze politiche e dai popoli interessati –
scelte che competono loro e circa le quali non spetta certo a me un
qualche pronunciamento -, come pure non per meglio rendersi conto
delle fortissime ragioni e proteste di quanti si fronteggiano sui
vari temi e sui più diversi fronti.
Pur
nella sintesi richiesta da questo tipo di format
le riflessioni e gli interrogativi sorgono invece sulla scorta di
un'analisi dei fatti, delle dinamiche in base alle quali essi si
siano potuti determinare, sulle motivazioni politico-sociali che
possano esservi a monte, sui riflessi che si determinano sul sentire
religioso di ciascuno, sulle conseguenze che siffatte decisioni
possono comportare: tanto nell'immediato, che nel breve-medio-lungo
periodo.
In
Francia, si é concluso un energico braccio di ferro tra amplissimi
settori dell'opinione pubblica ed il Governo, con al centro il tema
spinoso dei pronunciamenti – di segno squisitamente politico, anzi
partitico – a favore delle coppie omosessuali. Queste tensioni sono
certamente alimentate anche dalle crescenti preoccupazioni della
popolazione sull'asprezza di una crisi finanziaria ormai troppo lunga
e densa di pesanti incognite e persino pessimi presagi:
preoccupazioni cui il Governo del socialista Hollande - al giro di boa del primo anno
del proprio mandato - ha saputo fin qui dare risposte
sufficientemente energiche anche sovrastando e scavalcando quella
“terra di nessuno” che si allarga sempre più nel segnare il
distacco della Germania (con la sua corte d'onore di damigelle
nordiche) dalle altre realtà europee, specie a livello economico e
finanziario, ancor prima che sociale.
Alle
elezioni amministrative britanniche, il Partito per l’indipendenza
guidato da Nigel Farage - che si prefigge l'obiettivo dell'uscita
della Gran Bretagna dall’Europa – ha conseguito un'importante
quanto inatteso successo.
In
Islanda - dopo quattro anni di opposizione – la formazione
anti-europeista guidata dal conservatore Bjarni Benediktsson, è
approdata al locale Governo.
In
Germania – una Germania pericolosamente prossima ad una
fondamentale tornata elettorale, nella quale Angela Merkel pone in
gioco se stessa, e che assaggia il sapore amaro di dati economici in
flessione e solo in questo ultimo mese in ripresa – cresce nei
sondaggi il gradimento per il movimento Alternative
für Deutschland :
questo, propugna energicamente il ritorno al marco (pesante, ovviamente) ovvero ad un euro-pesante (un doppio binario, quello
dell'Europa monetaria a due velocità, che sarebbe riservato ai
virtuosi Paesi dell'Europa del Nord: un qualcosa che, per molti versi, già si nota). Una Germania che ha fatto uno
shopping
intenso nei mercati compromessi di Italia, Spagna, Grecia e Cipro e
che ha sottratto importanti fette di mercato alle esportazioni di
questi Paesi: situazioni che difficilmente potranno essere
recuperate, dal momento che chi ha conquistato/comprato queste nuove
posizioni, difficilmente se le lascerà scappare. Anzi: potrà fare
affidamento sulla Cancelleria a Berlino per poterle mantenere, a
lungo.
Focolai
di tensione quando non di aperta belligeranza, spesso con episodi
tragici segnati da un elevato numero di vittime, sono attivi in
molte, troppe, parti del Mondo: Iran, Iraq, Siria, Afghanistan,
Egitto, Libia, Tunisia; tanto per citarne alcuni. Senza toccare poi
quelli segnati da feroci lotte a sfondo etnico o religioso, con vere
e proprie stragi di innocenti, colpevoli solo di praticare la loro
fede.
E
in Italia?
L'affermazione
più cospicua del previsto che comunque il Movimento Cinque Stelle ha
avuto alle recenti elezioni politiche - pur se contraddistinta
dall'emergere di non trascurabili contraddizioni interne quanto di
uno strano, ermetico (e per molti preoccupante) modo di porgersi e
relazionarsi – é stata un segno inequivocabile della risposta –
certamente più di pancia che meditata, così come indicata il ridimensionamento di cui agli ultimi sondaggi – che una cospicua parte di
elettorato ha dato alle crescenti preoccupazioni dei Cittadini di
fronte ad una situazione monetaria e finanziaria molto, molto
preoccupante, segnata da una al momento irrefrenabile crescita del
numero di inoccupati e disoccupati; da una drastica diminuzione dei
redditi e del loro potere d'acquisto – e quindi dei consumi interni
-; da una falcidia delle attività fin qui produttive – con
crescente chiusura di aziende e società -;
da un inasprimento delle condizioni del credito con difficoltà
crescenti per le famiglie che hanno in essere un debito come pure di
quelle che intendono contrarne.
Preoccupazioni
diverse da Nazione a Nazione solo per le loro sfaccettature interne,
ma che delineano sostanzialmente l'accrescersi delle preoccupazioni
che una larghissima parte dell’elettorato europeo sta concentrando
sulla crisi finanziaria e soprattutto sull'adeguatezza o meno delle
“terapie” che l’ Unione Europea ha identificato per la
gestione - e il controllo: vedasi le modalità dello svolgersi delle
crisi di Grecia e Cipro – dei debiti sovrani dei Paesi membri, al
pari del ferreo controllo sui deficit di bilancio.
Ma
il panorama italiano sta offrendo anche altre situazioni, il cui
verificarsi è sotto gli occhi di tutti: sono passati solo 5 mesi
dall'inizio di questo extra-ordinario 2013, e accadimenti importanti
ci hanno percorso.
Dalle
dimissioni di Papa Benedetto XVI° alla sollecita nomina del Suo
successore, Papa Francesco: un Pontefice non europeo, “prestato”
dal Nuovo Mondo ad una realtà forse troppo “vecchia” e
“logorata” da lotte intestine svoltesi a svantaggio del potere
spirituale, eccessivamente mortificato da quello materiale e dal
cedere – da parte di taluno – alle lusinghe di un protagonismo
decisamente di tipo laico.
Dalla
fine del settennato di S.E. il Presidente Giorgio Napolitano, alla
sua storica riconferma e dell'altrettanto Sua coraggiosa accettazione
in nome dell'interesse superiore del nostro Paese.
Dall'impasse
in cui si è trovata la politica nel definire una compagine di
Governo concretamente operativa, alla individuazione di una
governance
italica tutta nuova, basata su un Governo di scopo nel quale
convergono forze politiche fin qui fortemente, e quasi
“storicamente”, contrapposte.
Dall'avvenuta
cancellazione d'un solo colpo – da parte di un elettorato
evidentemente ben consapevole di ciò che stava facendo e delle
potenziali conseguenze derivate dall'esercizio delle libere scelte di
voto – di gruppi politici che da molti anni permanevano nel
contesto politico italiano, alla vera e propria
lezione-mortificazione impartita a moltissimi soggetti: forse troppo
presi nel vedersi - fiori tra i fiori - in un campo di colorati
papaveri piuttosto che non disposti a prendere atto della
fine/condanna di un'epoca, di un modo di fare/disfare, di un modo di pensare/agire e del
determinarsi di un nuovo ambito: di un nuovo recinto nel quale –
almeno per ora – ben poche sono le rose profumate.
A
tutto questo mutamento, peraltro affatto esauritosi, va ad
aggiungersi in questi ultimi giorni la morte di S.E. Giulio
Andreotti: per alcuni Figura controversa. Per lunghi decenni fu al
centro della politica attiva nazionale ed internazionale; esponente
di quel compromesso storico che portò l'Italia ad un efficiente
Governo di solidarietà nazionale;
ossequiato/temuto/consultato/rispettato da amici e non; abilissimo
tessitore; vero statista - specie agli occhi delle Cancellerie internazionali, che non tralasciarono certo di apprezzarlo –; speculare punto di riferimento in una difficile realtà nazionale, anche alle prese con il triste
fenomeno del terrorismo, e che nell'asse da lui rappresentato nella
DC individuava l'asse del Paese.
Il
compianto Presidente Francesco Cossiga ebbe a dire di lui che
“rappresentava il popolo del Papa dentro la DC”: pur se la
definizione può apparire a prima vista limitativa, é solo realista
e ben si adatta a questo Personaggio. Andreotti fu comunque un punto
di riferimento, che ebbe ad affrontare scomodissime contestazioni e
che oggi vede l'operato della Sua vita – molti risvolti della quale
non ci sarà mai dato conoscere, essendo appartenuti solo alla sua
volontà ovvero alla sua coscienza – posto nelle mani di Colui al
quale egli professava in modo costante ed intenso la sua fede. In
ogni caso: la sua morte, rappresenta uno degli ultimi suggelli posti
alla fine di un'epoca, di un'onda lunga iniziata subito dopo la
Liberazione e protrattasi per ca. un sessantennio ed a fronte della
quale nella politica italiana – alle prese oggi con un necessario
quanto balbettante rinnovamento - é tuttora presente una
gerontocrazia (ma anche una classe di politici che per mestiere ha
fatto solo il... politico) che, pur se certamente titolare di
competenze, non si é saputa dimostrare nel tempo pronta a superarsi,
e quindi a rinnovarsi, attraverso una impostazione concreta e
lungimirante piuttosto che non attraverso la scelta di utili gregari. Così che - nell'emergenza assoluta che oggi viviamo - mancano l'elasticità mentale e le giuste energie per procedere in modo rapidissimo e concreto alle giuste misure di tutela e salvaguardia. Reagire solo a parole - e in ciò continuiamo a dare ragione a quanti, oggi, ci continuano a tacciare di essere solo dei polemist - non solo non basta, ma è persino irritante poterlo ascoltare: se mettessimo a decidere la (famosa) "casalinga di Voghera" sono sicuro che impiegherebbe meno a valutare ed a decidere, e sono altrettanto sicuro che adotterebbe delle valide misure sol perché adottate con la cura del boni pater familiae.
Chi
ha avuto modo di leggere un mio recente scritto, avrà notato come
io sia critico nella valutazione degli effetti di fondo che,
originati con la Rivoluzione Francese del 1789, si sono potenziati
con l'illuminismo e, in una sorta di reazione a catena, si sono
protratti fino ai giorni nostri attraverso forme di laicismo prossime
all'esasperazione. Una critica che anche recenti studi di illustri
studiosi hanno sempre più evidenziato, specie nella ormai
ineludibile constatazione che il “tipo” di sistema
sociale-politico-economico che dal 1789 si è imposto, sviluppato e
moltiplicato nelle varie Nazioni, ha oggi palesato vistose falle: al
punto da poter prendere in seria considerazione che proprio gli
eventi di questo inizio secolo siano in realtà il più concreto
indizio che siamo nella fase finale di tale sistema.
Quella
fase nella quale o si prende atto che il disordine prodotto in nome
di questi principi è ormai superiore agli effetti dell'ordine –
così predisponendo i più idonei correttivi, a livello globale -, o
si rischia seriamente di venire travolti dagli effetti più
devastanti di quello che non appare più il possibile, luccicante,
laicissimo, “nuovo ordine” bensì la restaurazione di un “antico
disordine” solo vestito con abiti nuovi e permeato dal losco alibi
di volere il disordine (anzi: “i disordini” che possano abbattere
ciò che esiste) per costruire una nuova realtà, e quindi per il
bene del popolo. “Distruggere per costruire”, in estrema
sintesi: e ciò cavalcando abilmente le proteste, sobillando
facilmente animi comunque esacerbati, facendo da innesco ai propositi
ribelli di gente ormai stremata da lunghi sacrifici ancorché da una
profonda recessione, coltivando il complice appoggio di minoranze
sociali ed etniche che in modo ormai radicato vivono alle spalle di
quella società che criticano persino con violenza ma che però viene
sfruttata abilmente.
Proprio
la Francia – per tutta una serie di motivi che qui non é il caso
di enumerare e più di altri Paesi, tra cui il nostro – ha
rappresentato per l'Europa il punto avanzato, il laboratorio, in cui
fermenti, idee e riforme sociali trovano fertile terreno e
possibilità di concretizzarsi e, da qui, essere ri-lanciate verso
l'esterno.
Al
determinarsi degli eventi ha fatto da contrappunto un desiderio di
rinnovamento che in molti tentano di "cavalcare": chi
aizzando le genti con parole di fuoco esitando - però - a sostenere
confronti diretti e liberi, chi tentando una revanche
che la storia ha sempre negato, chi stimolando confronti tra strati
sociali sempre più distanti tra di loro a causa di una crisi che -
giorno dopo giorno - evidenzia colpe e responsabilità di chi, alla
polveriera, ha appiccato il fuoco con le mani altrui.
Ma
ciò che molti fanno finta di non vedere, e quindi di non apprezzare,
è la grande fame di "credere", di “avere piena fiducia”,
in qualcosa di stabile e definitivo da parte di chi - sedotto dal
fascino perverso di chi predica l'individualismo, il materialismo e
il più deteriore razionalismo - da lunghissimi anni si diletta a
disgregare la famiglia; a indirizzare verso modelli di vita che una
volta definire inaccettabili in quanto perversi e lussuriosi sarebbe
stato dir poco; a spingere verso la libertà di uccidere e uccidersi,
rendendo non più differibile la modifica delle attuali norme del
diritto di famiglia (leggasi: separazioni, divorzi, convivenze,
affidamenti, adozioni, innovazione mediante l'applicazione per legge
di specifici contratti pre-matrimoniali idonei ad evitare futuri
contenziosi) e delle norme a regolamento di aborto (troppo spesso
confuso come un metodo anti-concezionale) ed eutanasia; a spingere
verso appiattimenti sociali e culturali che partono da un sistema
scolastico sempre più svuotato di contenuti fondanti per approdare
in rivendicazioni urlate ma di inconcreto/impossibile approdo e che
soprattutto, in quanto carenti di solidi-concreti-tangibili parametri
di riferimento, espongono le menti più labili e le generazioni più
giovani ad un qualunquismo di vita inutilmente e perversamente
colorato dall'appeal
della libertà di sesso, di sballo, di cedere alle lusinghe di facili
ed equivoche frequentazioni in rete o per ficcarsi in discoteche non
tanto per ascoltare musica bensì per "sballare" dalla
realtà. Così che quelle che sono le nuove generazioni, sempre più
precocemente sono di fatto spinte verso "braccia" - spesso
immateriali - che più che alla "leggerezza dei pensieri",
alla bella vita e al divertimento, li sospingono verso la morte.
Oppio per la mente, quindi, probabile passaporto per la morte e
ricchezza solo per trafficanti e spacciatori.
Ma
quella di cui parlo é una morte che ancor prima che fisica, colpisce
e inaridisce l'animo, stimola all'insoddisfazione e all'odio - anche
verso se stessi -, fa diventare poltiglia il cervello, distrugge
intere famiglie – spesso tardivamente attente se non indifferenti
perché prese dal fascino di una equivoca concezione dei concetti di
“libertà”, “conquista” e “modernità”.
C'è
quindi questa ricerca di " aver fede" in qualcosa – o,
meglio; nella “ri-scoperta” di qualcosa -, di "credere"
in cose serie e concrete come pure in qualcuno; credere in qualcuno
che, specie attraverso la parola e l'esempio diretto, ci metta in
condizione di capire meglio, di comprendere, quasi di toccare con
mano le possibili soluzioni ai nostri mali: che ancorché del corpo e
dell'anima sono di quel "sé" che in pochi ancora ricercano
con ostinata pazienza così da “ben comprendersi” per “meglio
comprendere”.
La
Massoneria - e qui parlo di quella "vissuta" e
"interpretata" in Italia -, che pure avrebbe potuto e
dovuto giocare un ruolo sociale e culturale (e nient'altro!) di tutto
rilievo storico (cosa peraltro avvenuta all'epoca dei nostri Padri e
dei nostri Nonni) ha smarrito ormai la coscienza e la consapevolezza
del proprio ruolo soprattutto iniziatico e cavalleresco, dove
seguire e rispetto le più antiche Tradizioni sarebbe stato sicuro
punto di riferimento per offrire concreta testimonianza, ed esempio,
di sani principi e di progetti di crescita: tanto individuale che
collettiva. Soprattutto per le generazioni più giovani,
spasmodicamente tese alla ricerca di certezze.
Motivo
per cui, e non da oggi, sostengo che la Massoneria in Italia - nel
suo complesso e così come oggi è ovvero appare essere - ha fallito
il proprio compito, ha eluso il perseguimento della propria missione
simbolico-ritualistico-iniziatica, ripiegandosi su se stessa per
accontentarsi della pratica di modelli molto profani, forse più
legati ad aspetti materiali/di potere come pure a un culto di
immagine (anche individuale) e di ricerca di mondanità che,
sostanzialmente, sono belli e persino roboanti ma fine a se stessi.
Se "costruzione" c'è, essa avviene con materiali poveri e
nel precipuo interesse della c.d. “dirigenza” dei singoli gruppi,
al punto da non garantire pronostici fausti per il futuro e lasciando
comunque la bocca amara in quegli Iniziati che desidererebbero
operare con solennità, serietà, serenità, giubilo e intimo
beneficio nell'ambito di un progetto comune definito, conosciuto,
accettato e condiviso.
Solo
così gli ideali possono far maturare delle idee; solo così le idee
possono diventare progetti; solo così i progetti possono divenire a
loro volta programma; solo così si può passare dal programma al
programma pratico, attuato attraverso un'attività fraterna e quindi
in armoniosa collegialità. Quel concetto di “armonia” di cui
dovremmo avere una certa qual cognizione, se abbiamo approfondito
almeno un pò gli insegnamenti del grande Maestro Pitagora.
Come
accennavo in apertura, il rischio che in tutta Europa possano
diffondersi energici sentimenti e movimenti anti-europeisti è ormai
realtà; tutto sta a non farli radicare, trovando ed applicando
rapidissimamente i necessari (e facilmente individuabili) correttivi:
non più eludibili.
Diversamente,
l'Europa rischia di divenire terreno di scontro non solo dialettico:
con grave regresso sociale ed economico, facile innesco al ritorno di
nazionalismi, populismi e alimentazione di tentazioni ribelli.
Un'Europa dominata da una bestia mostruosa e dalle mille teste, che si
chiamano: disoccupazione, crescente disaffezione dalla politica e
crescente caduta di fiducia nella classe politica, stagnazione quando
non recessione, insicurezza sociale, dissesto finanziario ed
economico, clima di pesante incertezza con l'insorgenza di una triste
logica di sopravvivenza. Certamente, il fenomeno è complesso: è
costituito dallo stratificarsi, nei luoghi e nel tempo, di molte
situazioni: ma le miopie gestionali e amministrative dei politici, il
trionfo degli egoismi soggettivi (ma anche a livello di Paesi...), la
mancanza di una visione prospettica e quindi della pianificazione di
possibili scenari futuri, non sono sufficienti a colmare il desiderio
di spiegazioni, di chiarimenti, dei cittadini, dei popoli, delle
nazioni.
E'
questo il terreno ideale perché l'euro-scetticismo trovi fertile
terreno e possa radicarsi, per trasformarsi in stizzoso e altezzoso
nazionalismo. Sta traballando pericolosamente l’architettura
dell'Unione, così come essa é oggi; la creazione di un unico
organismo - di uno Stato-nazione con il suo ordinamento giuridico, le
sue gerarchie, i suoi valori – si é pericolosamente arenata in
prossimità di pericolosi scogli, rischiando di frantumarsi: tanto è
oggi viziata da mescolanze di speciosi costrutti dialettici e
normativi (dietro i quali si celano interessi particolari: di certo
di segno opposto ai concetti a noi noti di “europeismo”).
Roma, 10 Maggio 2013
(segue) Giuseppe Bellantonio
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