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sabato 20 febbraio 2016

CERTO, CERTISSIMO... ANZI, PROBABILE.


Da più parti sono sollecitato a esprimere delle mie considerazioni relativamente alle recenti indiscrezioni di Stampa circa una possibile/ipotetica trama unificativa tra il GOI e la GLRI (ricavo le sigle dai normali canali di informazione).                                                                                                                         A questo ‘trambusto’ di notizie, smentite e ipotesi, si è saldata dapprima una querelle tra una struttura massonica organizzata e un alto esponente della Curia – segnatamente, l’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio -, successivamente delle esternazioni a seguire la stessa espresse dal GM di detta struttura e da un Rev.mo Cardinale della Chiesa Cattolica.                                                                                       Non sono ‘parte’ della vicenda se non come semplice Massone che non intende lasciare ovvero riconoscere ad altri una ‘rappresentatività’ che, a prescindere dalle competenze, proprio perché generalista mescolerebbe positività e negatività tanto soggettive che oggettive, oltre che profondissime diversità sostanziali: talvolta persino difformi alla lettera e allo spirito di norme / regolamenti / statuti in uso.  Quindi ciascuno – nella mia ottica - parli per sé, rappresentando se stesso ed i suoi, e quindi impegnando con parole e/o fatti se stesso e gli associati all’ente associativo rappresentato. Né può essere diversamente: per fortuna, ancora non siamo arrivati al condominio delle varie comunità massoniche, tenute poi a designare la loro comune figura apicale, l’ ‘amministratore’ che possa rappresentarli.                                          Ciò utilmente premesso, qui riporto stralci di taluna corrispondenza liberamente intercorsa con altri soggetti – con i quali, con grande semplicità e umiltà, ci siamo fraternamente riconosciuti – e in qualche modo pertinenti a quanto sopra indicato.

… L'attesa per un evento di tipo 'unificativo' o 'riunificativo' data ormai da troppo, lunghissimo, tempo: specialmente alla 'base', mentre i vertici trattano la materia in modo possibilista ma salottiero, badando a non farsi scappare le opportunità che la loro condizione comporta. Non spenderei in questa sede altre considerazioni (peraltro, il tema era sempre oggetto delle comuni riflessioni con l'ottimo e ineguagliabile Alfredo Di Mambro): mi permetto unicamente di osservare che 1) con la scusa che detengono il 'cordone' dei riconoscimenti, inglesi o altri, di fatto impongono (più che suggeriscono) delle 'soluzioni' o delle 'alleanze': benedicendo le nozze o girandosi dall'altro lato quando queste naufragano (il tutto, sempre e comunque secondo la loro, e non di altri, ottica). E questo equivale a quella pesante 'colpa' che corre con il nome di INGERENZA negli affari di una Gran Loggia o di un Grande Oriente o di altro. 2) Esiste un precedente storico in materia, non andando a soppesare valenze attuali e di allora, e cioè quello della RIUNIFICAZIONE tra la Comunione di Piazza del Gesù (GM Francesco Bellantonio) ed il Grande Oriente d'Italia (GM Lino Salvini). Anche in quel caso grandi furono le pressioni dall'estero perché si superasse la diaspora del 1908. Sappiamo tutti come andò a finire: accordi (bellissimi, in splendide cornici) disattesi, Logge prima inserite poi smembrate, purgatorio dei FFr. per vedere riconosciute le loro qualità (nel senso: noi siamo sempre noi, voi arrivate adesso), denuncia dei trattati, fallimento dell'iniziativa. Ma da ciò che si firmò, formalmente non si tornò indietro e nessuno di quanti sostenne e favorì i protocolli d'intesa si mosse ufficialmente. Pacche di consolazione sulle spalle, tantissime. Azioni concrete 'zero': ‘ormai... cosa possiamo fare, noi?’ (con quanto piglio essi stessi sostennero con fermezza che non potevano INGERIRSI nella vicenda, avrebbero mancato gravemente ai loro obblighi). E siccome la 'storia' si ripete, specie nei cicli storici medio-lunghi, io per primo accantono ogni minimo entusiasmo…

… e ancora…

Grazie… per la tua cortese risposta....
Si, certamente le pressioni ci sono, e molto 'significative' e 'autorevoli': danno la dimostrazione non di una volontà MASSONICA a tutto tondo, con le sue regole e secondo le regole, quanto di un intendimento inteso a FAR FARE ciò che ci si prefigge.
L'Italia è stata spesso considerata una COLONIA: politicamente, economicamente, finanziariamente, e quant'altro.
Temo - e forse credo, soggettivamente - che questa visione, in nome dei famosi RICONOSCIMENTI, abbia contaminato - e da tempo: ma con progressione non più aritmetica, bensì geometrica - un certo mondo iniziatico italiano.
Come noterai, rifuggo dall'utilizzare in questa sede il termine MASSONERIA ITALIANA: sono consapevole di non poter parlare certo in suo nome, come mi sembra che taluno si ostini a fare.
Però sono consapevole di parlare - a volte, questo sì - in nome e per conto di quei bravi e corretti Fratelli (ma anche Sorelle, per carità) che ancora vivono l'IDEALE MASSONICO, e pertanto le IDEALITA' E LE TRADIZIONI INIZIATICHE, con consapevolezza, spessore, trasparenza e lealtà d'animo…

Anche le dichiarazioni – attenzione: né banali né superficiali formulate – da due Illustri Personalità del mondo cattolico, Alti Prelati di grande spessore culturale e studiosi di chiara fama, bisogna saperle leggere così interpretandole: ma non certo manipolandole ovvero strumentalizzandole per adattarle, con un qualche trasformismo, ad una qualche realtà.                                                                           
E parlare in linea generale, senza confini, barriere e distinguo, può aiutare a collocare le tematiche nel loro giusto ambito: fermo restando che stiamo trattando di quella ‘Massoneria Moderna’ nata nel 1700, che – salvo tematiche affascinanti e molto spesso affabulatorie e leggendarie, oltre che culturalmente interessanti per gli studi e approfondimenti di tipo filosofico, esoterico, simbolico e iniziatico – ignorando gran parte dei contenuti fino a quel tempo espressi dai gruppi aggregati operanti all’insegna dei mestieri (ma non solo…). Fu questa una realtà nata in un contesto dove la religione non era cattolica e sviluppatasi rapidamente proprio nei Paesi sottoposti alla monarchia dominante, di fatto a capo anche di questa nuova realtà.                                                                                                         L’anticattolicesimo di fondo (in nome degli ideali legati all’illuminismo e alle formulazioni contenute in quel 'libero pensiero’ che, nel tempo, ha assunto derive anarcoidi) e la divisa laica adottata (laicità che, in realtà, ben presto degenerò in deteriore e caustico ‘laicismo’), hanno conferito all’istituto massonico una ben precisa caratterizzazione.                                                                                                 Vero è che – ad esempio, in Italia – il retaggio della grande cultura latina e greca (attraverso le colonie della Magna Grecia), le profonde radici cattoliche, il grandissimo bagaglio dell’umanesimo – prima – e del rinascimento – poi -, hanno fatto sì che la Libera Muratorìa Massoneria italiana avesse un substrato grandemente diverso da quello imposto dal modello targato 1700. E queste vere e proprie macro-differenze d’ordine culturale e storico sono rimaste intatte, dimostrandosi peraltro altrettanto sussistenti tanto nei confronti di analogo mondo iniziatico nord-americano, che di quello prettamente centro europeo - contiguo al pensiero luterano -, nonché di quello francofono (connotato da un laicismo eccessivo e da un attaccamento viscerale all’epoca dei lumi ed a quanto correlato al concetto di libertà) e per ultimo di quello riferentesi alla comunità valdese.  Tutte situazioni ‘anomale’ massonicamente, dato che il nostro mondo iniziatico non è quello di una comunità religiosa, che aspira a intese, accordi, o riconoscimenti con un suo pari.                                                                                                                                Questo può spiegare anche se solo in parte – non è questo il contesto idoneo ad una disamina puntuale ed esaustiva -  perché la Chiesa Cattolica – direttamente o per mezzo di suoi autorevoli ed eminenti prelati (basti pensare solo a Padre Amorth, con il quale ho avuto l’onore di intrattenermi) - non veda certo di buon occhio quella parte di strana massoneria i cui aderenti possano praticare devianze sataniche o legate a forme di culto magico; quella strana massoneria che rifiuta ad oltranza la figura del Cristo pur dichiarandosi ‘credente’ (dichiarazione fideistica invero limitatissima nella realtà dei fatti, fermandosi solo ad una Figura Divina resa astratta e ad un Libro Sacro posto sull’Ara) con assunti che potevano sembrare ‘adeguati’ oltre 300 anni orsono, ma non certo oggi); quella strana massoneria che – specie in terra francofona – ostenta il proprio laicismo non collocando  i simboli che riconducano alla Divinità e quindi ad una ‘qualche’ espressione di fede (una condizione, peraltro, adottata ed ostentata anche in Italia da più di un raggruppamento massonico: niente simboli che possano ricondurre al ‘sacro’, al ‘trascendente’, al ‘divino’): e ancora, quella strana massoneria che si dichiara apolitica pur strizzando continuamente l’occhio alla politica; o quella strana massoneria che non dovrebbe trattare di religione eppur non lesina di sottolineare persino con asprezza atteggiamenti o enunciati del mondo clericale; o quella strana massoneria ancora pervasa da sacche ove esiste ancora il segreto, o troppo prossima/equivocabile con situazioni di stampo affaristico, o che sgomita per aspirare ad eredità che poco hanno di intellettuale e di culturalmente valido o di iniziaticamente significativo.         Ecco, io per primo – e con me tanti, tanti, tantissimi Fratelli e Sorelle - sono lontano da questi modi di fare: modi che, se valutati correttamente, non appartengono neanche lontanamente agli IDEALI enunciati nel 1700.  E ancor più lontani lo sono da quelle TRADIZIONI cui solo a parole talvolta si riconducono: Tradizioni che parlano un linguaggio nettissimamente antecedenti al 1700.                                                                                                                 Ma quando un uomo di Chiesa deve valutare e parlare dell’istituto massonico, non fa e non può fare ‘distinguo’ che tengano conto di latitudini diverse, di culture diverse, di storie diverse, di DNA sociali e spirituali diversi: come si può pretendere che qualcuno ‘scelga nel mazzo’ questo, respingendo quello o viceversa?    Da qui, il fare di ‘tutta l’erba un fascio’, senza distinguo se non delle caute parole che possono sembrare di ‘apertura’, ma che in realtà non lo sono: esse rappresentano solo un modo colto ed elegante per indicare il ‘possibile’ senza però entrare nel merito delle ‘possibilità’ di concretizzazione.  Non lesinando cocenti critiche ad una controparte con tante stranezze nel proprio bagaglio.                                                                        L’esperienza e l’insegnamento che origina dallo studio della Storia, mi suggeriscono che quando si desidera con forza una cosa, per realizzarla non si esita anche a rivedere quelle posizioni che, perso lo smalto e ricoperte dalla ruggine del tempo, non agevolano il possibile dialogo ed anzi lo frenano. E l’opera di revisione non può iniziare se non rivedendo le posizioni di un anticlericalismo che è anticattolicesimo, sospinto dal retaggio di una laicità debordata nel laicismo, in virtù di un tanto sbandierato spirito illuministico che – nella realtà - ritengo concettualmente e storicamente superato.                                                                                                                
E sono le cronache, ancor prima della Storia, a dare testimonianza di tutto ciò: sempre che ci sia chi voglia vedere, chi voglia ascoltare, chi desideri comprendere.
E, quando comprenderà, si accorgerà che 'questo' modo di fare/vivere la libera muratoria è tutt'altra cosa di quello che le Tradizioni, e quindi la Storia, con serietà e univocità ci trasmettono.
Roma, 20 Febbraio 2016                                         Giuseppe Bellantonio
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sabato 6 febbraio 2016

VIRGILIO GAITO: 'LE NIVEAU'



Abbiamo già offerto alla c.a. dei nostri Lettori le intense pagine tracciate  nel lontano 2001 dall'Ill.mo e Risp.mo Fratello VIRGILIO GAITO, con oggetto la poesia del Fratello Antonio De Curtiis  'A LIVELLA.
Grande è stata l'attenzione per questo particolare scritto, così come grande  è il rispetto che tutti indistintamente nutrono per questo Illustrissimo Fratello.
La Sua cortesia e il nostro concomitante desiderio di porgere ai nostri Lettori sempre nuovi spunti ed elementi di riflessione, senza preclusione alcuna, ci hanno messo nella condizione di poter rendere pubblico lo studio a firma dell'Ill.mo e Rispettabilissimo Fratello Gaito tradotto in lingua francese dalla bravissima Prof.ssa Caratelli.
Un 'dono' nel ''dono' quello che Virgilio ha inteso fare ai Lettori tutti, specie a quelli addentro al Mondo Iniziatico: anche perché la traduzione in lingua francese offre altre sfumature certamente intense e pervase da un particolare fascino.
Concludiamo riportando le medesime parole utilizzate dall'Ill.mo Fratello: "... voila le Niveau. Alla Francia ed alla sua cultura, in un momento così colmo di devastante stupidità.  Je suis parisien, vive frère Voltaire et la tolerance...".  

Le Niveau

         Parmi les poèmes jallis de l’âme sensible de notre Frère Antonio De Curtis, alias Totò,  le plus connu et récité est certainement “Le Niveau”, pour la veine de profonde humanité qui y règne, mais surtout, à cause de sa signification ésotérique.   Et à nous, qui sommes initiés comme lui,  ce poème apparaît,  dans toute son évidence, comme voulant nous rappeler la caducité des choses terrestres,   qui révèlent leur irrémédiable inanité   face à l’événement final qui met fin à notre existence: la Mort.
       Le poète imagine qu’il a été  renfermé dans un cimetière,   s’étant attardé à  méditer sur la pompe des tombes et des inscriptions funéraires qui réflètent la condition sociale des défunts.  Même dans cet endroit si sévère,  les morts   sont rappelés au bon souvenir de leur famille et des voyageurs pour leurs qualités terrestres, réelles ou imaginaires, et beaucoup plus honorés s’ils avaient occupé une position élevée dans l’échelle sociale.
  Tout à coup, tout près de leurs tombes, le Poète voit se concrétiser deux images, celle d’un noble monsieur arrogant et richement vêtu et celle d’un pauvre éboueur, humble, respectueux et mal habillé. Le noble accuse ce dernier  de haute trahison, parce qu’il s’était fait enterrer dans une tombe très modeste et à l’habandon, tout juste à côté de son tombeau resplendissant  de lumières, fleurs et d’inscriptions éclatantes.
Tout d’abord l'accusé se défend par un  désarmant appel en complicité: c’était sa famille qui avait pris  cette décision  sans le consulter et lui, étant mort, n’avait  pu s’y opposer. Lui, il n’aurait jamais osé  faire autant. 
         Face au ton grossier du Noble qui le somme de transporter immédiatement ses humbles dépouilles malodorantes bien loin de son magnifique tombeau, en lui évitant ainsi d’avoir recours à la violence, ce qui serait contraire à son rang, l’Eboueur avec un élan de fierté  lui rappelle que la Mort est un Niveau qui efface toute pompe terrestre et qui rend tous égaux devant elle.
        Il conclut avec une sagesse infinie : (en dialecte napolitain)« nuje simmo serie …appartenimmo alla Morte »  (Nous sommes sérieux … nous appartenons à la Mort). 
        Dans la multiplicité des messages sur le monde des hommes que Toto a livrés à ses poèmes, de manière simple et donc à la portée de tous les lecteurs, mais  pour cela encore plus appropriés à nous stimuler de profondes réflexions, nous saisissons une invitation à la simplicité, à la redécouverte des valeurs authentiques, à la fraternité, à l’égalité, à la liberté, à l’amour.  
         Et, même si la fresque du poème “Le Niveau” se conclut aux yeux du profane avec la représentation de la majesté de la Mort qui exige d’être “sérieux” dans le sens de surmonter toute cause de division, de séparation, d’incompréhension, de haine, de vexation, pour nous Initiés le message de notre Frère Antonio De Curtis évoque immédiatement l’exhortation du Maître Vénérable lors de la séance d’ouverture des travaux de Loge:  “Tout dans ce Temple doit être sérieux,  sage, bienfaisant et  joyeux”. 
 Et c’est là l’impératif catégorique qui découle de l’Initiation même, que chacun de nous a dramatiquement vécue.
     
Dans la vie humaine il est en effet  possible de mourir deux fois; l’une lorsque notre corps se sépare du soi–disant esprit de vie et que , se corrompant rapidement, se transforme en cendres; l’autre quand on traverse le rideau de feu qui sépare le profane du sacré et ce au moment où l’on devient un initié.
 En grec “initier” est exprimé par le verbe “TELEUTAI” qui signifie faire mourir.  “Initier” en effet est comme faire mourir, causer  la mort. Mais il ne s’agit pas là d’une mort totale, définitive, mais  d’une sortie, comme pour rejoindre une porte donnant accès à une autre dimension: en effet la sortie est suivie d’une entrée. L’initié passe d’un monde à l’autre et pour cela il subit une transformation; il change de niveau, devient différent.
        Voilà encore  la signification de “Niveau”, que Toto attribue à la Mort! C’est la conclusion d’un voyage terrestre, où les métaux ne font que du vacarme, et c’est en même temps  le départ pour atteindre la Verité, de laquelle l’initiè doit s’approcher en gardant son sérieux pour que, dans la paix retrouvée, son Temple intérieur,   puisse en tirer “bienfaits et joie”.
La mort initiatique est la mort mondaine en tant que franchissement de la condition  profane, de sorte que le néophyte semble subir un processus de régression, sa renaissance est comparée à un retour du phétus dans l’utérus maternel. Certainement il pénètre dans la nuit, mais si cela ressembre à l’obscurité du sein maternel, la nuit de l’initié possède la vastité – et que cela ne semble pas contradictoire -  la luminosité de la nuit cosmique.   
        Et de cette si profonde et exaltante signification de l’Initiation maçonnique nous  parvient un témoignage de la part de l’un des plus grands génies exprimés par l’humanité, Wolfgang Amadeus Mozart. Dans sa célèbre lettre du 4 avril 1787, Mozart écrit à son père, lui aussi devenu franc-maçon:      "Puisque, somme toute,  la Mort, est le véritable but de notre existence, pendant ces dernières années  je me suis tellement rapproché de cette bonne et fidèle Amie de l’Humanité que son image ne m’inspire plus terreur, mais au contraire me soulage et me reconforte! Et je remercie Dieu de m’avoir donné l’occasion (vous savez ce que je veux dire) d’apprendre que la Mort est la clé qui ouvre la porte de notre véritable bonheur".
        Le divin Mozart savait en effet que l’initiation marque le début irréversible d’une dimension spirituelle, où se trouvait ce véritable  bonheur qu’il avait religieusement cherché  toute sa vie durant. 
        C’est en effet la Franc-maçonnerie, comme admirablement l’affirmait notre Frère  Johann Gottlieb Fichte, celle qui libère l’homme de sa religion pour l’élever à la dignité d’Homme universel, qui a pourtant sa  religiosité à lui, qui est la nécessité du sacré, où règne  le bonheur, saisi comme perfectionnement de nous mêmes et élévation de l’esprit envers l’Etre Suprème. 
        Et la connaissance intime de la Mort se fait sentir dans les compositions “religieuses” de Mozart à savoir les “Messes” et surtout le célèbre "Requiem", qui sont imprégnées de la religiosité propre du Franc-maçon. Planant au-dessus des dogmes, celui-ci indique à l’Humanité une voie de salut fondée sur l’amélioration de soi et réalisée par cette Initiation qui a marqué la mort de la vie profane.  
        Mais lorsque notre Frère Antonio De Curtis comparait la Mort au Niveau, il savait bien, en parfait initié,  que cet instrument a donné tant de bonheur à des millions d’êtres humains et que dans la symbolique maçonnique cet outil est l’un des éléments les plus importants.   
Il connaissait profondément la valeur de ce symbole. 
        En grec antique le terme  "symbolon" se relie au verbe  "synballein" qui signifie “rassembler”, “unir”, ce qui engendre le concept que le symbole est renfermé dans un premier temps dans la personne de son auteur, pour devenir progressivement ermetique pour tous ceux qui dans le temps et dans l’espace s’éloignent du processus de sa formation. 
        A l’origine on appelait “symbole” (dans l’ancienne Rome “Tessera hospitalis”) un objet qui indiquait le lien d’hospitalité entre les familles et les villes. Cet objet était brisé en plusieurs parties, chacune  d’entre elles  restant à chacune des parties qui avaient contractanté ce lien. C’était un signe de reconnaissance que si les parties de l’objet  joignaient.  
        Voilà donc revenir sous forme plastique le concept d’union pour signifier la solidarité entre tous ceux qui étaient liés par un ancien lien d’hospitalité, et ce concept devenait plus ample au fur et à mesure que le temps passait,      
en
arrivant à comprendre une croyance, une philosophie, une science et une connaissance.   
        Dans le monde moderne, l’interprétation tend à l’abstraction de l’élément  materiel. Aujourd’hui l’acception la plus connue et plus répandue du mot symbole  (inspirée par Nietzsche et par Freud), le conçoit comme dissimulation et masque,  recelant, en tout cas, plus qu’ils ne le dise ouvertement. C’est ce  “plus” qui est interprété par le grand érudit Paul Ricoeur comme la particulière trascendence du symbole vis à vis de ceux qui l’interprètent.   
        Ce n’est donc pas par hasard, si notre Frère De Curtis   s’est poétiquement inspiré du Niveau, car, avec la ligne d’aplomb ou  perpendiculaire le Niveau figure parmi les bijoux portés par les deux surveillants à leur sautoir,  et c’est là la dualité qui correspond à celle des deux colonnes du Temple de Salomon.   
        Nous savons que le niveau est constitué par une équerre droite au sommet de laquelle est suspendu un fil à plomb. Son but  essentiel en est celui de déterminer l’horizontale, mais dans le même temps il détermine aussi la verticale. Apparaît donc ici, dans une première approssimation, l’image de la Mort  accouplée à la position horizontale couchée  du défunt, mais aussi en même temps à l’élévation verticale de son âme envers le ciel.
        Mais encore plus profondément la structure du Niveau nous permet de relier sa symbolique à celle de la croix des dimensions cosmiques: des manifestations de la Volonté céleste au centre du cosmos,  illumination harmonieuse au niveau cosmique où notre esprit va rejoindre la Vérité. 
        N’oublions pas que le niveau est le bijou du Premier Surveillant à qui on  confie les Compagnons. Ceux – ci  passent de la perpendiculaire  (bijou du Second Surveillant qui supervise les Apprentis) au Niveau, réalisant ainsi cette majeure illumination qui dérive de la connaissance de l’activité céleste, de sorte que le Compagnon soit prêt à affronter sans peur l’épreuve suprême qui l’attend pendant son admission à la maîtrise et qui sera l’accomplissement de son aspiration.     
        Et c’est en effet dans l’Equerre qui orne le bijou du Maître Vénérable   qu’il y a la synthèse des significations symboliques de la Perpendiculaire (équilibre) et du Niveau (équanimité) desquels derive l’autorité liée à la rectitude.
        Mais il ne faut pas oublier non plus que ce symbole peut être relié à une qualification. Et ce n’est pas par hasard si notre Frère Antonio De Curtis a placé au centre de sa fresque poétique la figure de l’Eboueur, un métier utile à la collectivité, qui devrait être libéré de ses déchets et connecté à un besoin de propreté, de pureté, de rachat des laideurs du monde, de catharsis et de régénération.  
        C’est là un rappel transparent au devoir de l’Apprenti, dont le travail consiste à tailler la pierre brute pour la dégrossir de ses aspérités et de ses impuretés, pour la rendre digne du processus initiatique vers la connaissance, et en même temps adaptée à s’enchâsser parfaitement dans le plan divin de l’amélioration de l’Humanité.   
        Cependant tout le comportement de cet Eboueur est modeste seulement dans l’apparence, car, en fait, il est bien fier de sa propre dignité d’homme honnête et conscient de sa mission purificatrice. En se se rebellant contre la menace de sa liberté faite avec arrogance par le noble, il s’érige en sage éducateur et  en même temps en défenseur de la liberté et de la dignité de tous.  Nous sommes conscients, que par l’Eboueur, Totò n’a pas tellement voulu symboliser  la figure de l’Apprenti, masi plutôt celle  du Maître.   
        C’est avec ces paroles, simples mais incisives   que l’Eboueur  répond: 

"ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale?....
Muorto si tu e muorto so pur'io;
ognuno comme a'n'ato è tale e qquale"

(Là-dedans, tu veux enfin comprendre que nous sommes  égaux? Toi, tu  es mort et moi aussi je suis mort, nous sommes comme  au moment de notre naissance,  tels quels …)
         Notre Frère  Totò nous apprend en effet, tout d’abord, à être réaliste, à favoriser l’Egalité même si dans la diversité. 
        Plus bas son enseignement s’enrichit de la valeur de l’humileté  quand il commente la signification de la Mort comme  Niveau:   (En dialecte napolitain)

"Nurré, 'nu magistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme".

(Quand un magistrat ou un grand homme passe cette grille, ils mettent un point à la ligne:  ils ont tout perdu, leur vie et aussi leur nom …)
        Et, enfin, quand il exorte le Noble: (En dialecte napolitain)

"stamme a sentì...nun fa' 'o restivo,
 suppuorteme vicino - che te 'mporta?
 Sti pagliacciate 'e fanno sulo 'e vive",

(Dis donc, écoute moi. Ne fais pas le chichiteux, supporte moi près de toi, qu’est que cela te fait? Ces pitreries, ne les font que les vivants …”
        En véritable initié, l’Eboueur fait appel à la Tolérance qui nourrit de soi la Fraternité, un sentiment qui, imprégné d’Amour, rend conscients de l’accomplissement de l’impératif catégorique: “Connais toi-même”, la devise de chaque Franc-Maçon dans le Temple,  où tout doit être “sérieux, sage, bienfaisant et joyeux
       Ce n’est qu’au profane démuni que “Le Niveau” peut apparaître un poème lyrique, (chose surprenante chez un grand acteur comique), qui chante les louanges de la Mort qui tout anéantit et qui tout nivèle.   
        A nous Initiés, notre Frère Antonio De Curtis a, par contre, offert une planche d’une profondité extraordinnaire, dans laquelle avec une merveilleuse synthèse et une grande simplicité il nous conduit, en incomparabile Maître et avec le doux sourire de l’intelligence, à travers les vertes prairies de l’Harmonie universelle où règnent beauté, bonté et vérité , ces filles de l’  "Amor che muove 'l sole e l'altre stelle" (Citation de Dante. “L’Amour qui mout le soleil et les autres étoiles”N.d.T.).
         C’est cet Amour qui devrait nous servir de guide, à nous  tous,  toujours et partout, unis dans une chaîne ininterrompue. Encore une fois notre Frère Totò l’invoque du Cosmos pour une Hunamité meilleure dans un de ses plus brefs, mais également profonds et délicats poèmes lyriques:  (En dialecte napolitain)
 
                   "'A cunzegna"
 
"'A  sera quanno 'o sole se nne trase
e dà 'a cunzegna à luna p' 'a nuttata,
lle dice dinto 'a recchia: «I' vaco â casa:
t'arraccumanno tutt' 'e nnammurate».

                   La Consigne

Au soir, quand le soleil s’en va
Et qu’il passe la consigne à la lune pour la nuitée,
il lui dit dans une oreille “Je rentre chez moi:
Je te recommande tous les amoureux …” 
          Il ne s’agit donc  plus là de nobles  ou d’éboueurs,  mais de vrais Hommes rendus frères par l’Amour dans le respect réciproque de la dignité et de la liberté.   

  9 mars 2001 E.'.V.'.                            VIRGILIO  GAITO
                                                                M.'. V.'.
                                                                   R.'.L.'. PISACANE DI PONZA HOD n.160
                                                                                          Or.'. di Roma
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giovedì 4 febbraio 2016

CONCLUSIONI DELLO STUDIO SULLE 'LOGGE DI S.GIOVANNI'


ATTUALITA’  IN  MASSONERIA

… SULLE “ LOGGE DI SAN GIOVANNI ”
(parte quinta)
Le conclusioni

          Per la cronaca – rifacendoci a quel gruppo di Cavalieri che dal 1308 lasciò le sue tracce, unendosi dapprima fortuitamente in talune pratiche esoteriche con gli stonemason di Scozia -, la più parte di loro, dopo il tempo necessario a ben comprendere i rudimenti dell’Arte (nota: la loro esperienza reale era quella prevalente della condizione nobiliare come pure di uomini d’arme), si trasferì altrove: comunque, portando con sé il nuovo, rinnovato, ‘bagaglio’.   Un ‘bagaglio’ anche prezioso, poiché ha loro consentito di tramandare un’Arte – quella legata all’uso ed alla lavorazione della pietra -  diversa da quella della Guerra, fermatasi con l’esaurirsi della loro vitalità di combattenti ed entrata nella Storia quale ‘epopea dei Cavalieri Templari’.
         Costoro, saputo della lotta che Robert de Bruis (successivamente conosciuto come Robert the Bruce) stava conducendo per liberare la Scozia dalla presenza inglese, decisero di mettere le loro spade al servizio del Condottiero: una piccola parte rimase però lì, mentre gli altri partirono. Giunti da Bruce, si unirono a numerosi altri Cavalieri: dando un aiuto considerevole nella battaglia decisiva che quell’esercito condusse contro gli armati di Edoardo II° d’Inghilterra.
         In queste fasi, i cavalieri del Tempio colà ritrovatisi numerosi, vennero a conoscenza delle esperienze fatte in precedenza da ciascuno dei gruppi di Cavalieri, mano a mano che – raggiunta la terra di Scozia – si riunivano ovvero si univano sotto la protezione di qualche nobile locale.   Emerse così anche l’esperienza fatta con gli stonemason e delle comuni frequentazioni e discussioni avvenute nella tranquillità di una lodge.   
         Uguali contatti furono ben presto presi nei nuovi luoghi, gettando radici profonde per gli sviluppi futuri: sempre con identica devozione Cristiana e un profondo sentire per il loro Santo Protettore, San Giovanni Evangelista.: testimone della loro spiritualità.
         Terminato il conflitto, Bruce Re di Scozia volle costituire l’Ordine di Sant’Andrea di Scozia nel quale, per dimostrare la propria gratitudine, fece confluire tutti i Templari che avevano combattuto per lui e con lui, ivi includendoli con onore presso il Capitolo attivo a Kilwinning  presso una lodge.  
         Una nota: la Loggia di Kilwinning – la più antica (a detta di molti, del mondo… forse, anglosassone!), nata nel XII° secolo, e sempre attiva dalla sua costituzione come tale – è, con orgoglio nazionale, la numero ‘zero’ nel Registro delle Logge di Scozia; per la sua costituzione essa riunì un gruppo di stonemason giunti dall’Europa per costruirvi un’Abbazia.
         Ne sappiamo di più, su costoro? 
         L’incrocio dei documenti disponibili, ci indica che nel 1140 alcuni stonemason lombardi - provenienti dal gruppo dei Maestri Comacini, costituiti in corporazione con norme simili a quelle date da Hiram re di Tiro ai costruttori da lui inviati presso Re Salomone, affinchè edificassero il Tempio di Gerusalemme - si recarono in Scozia per costruire la Torre e l’Abbazia di Kilwinning: luogo dove ancor prima del 1128 esisteva una lodge che ospitava le comuni assemblee.    Templari e stonemason ben presto costituirono un insieme formidabile: tanto operativo che intellettuale, con la formazione di vere e proprie ‘correnti di pensiero’ che, ben presto, si intrecciarono e si confrontarono in ambiti sempre più ampi.  Coltivavano indifferentemente l’Ermetismo come il Pitagorismo, la Kabbala come il Platonismo, l’Alchimia, come il Simbolismo.  Il tutto, veniva purtroppo considerato da taluni ambienti alla stregua di pratiche eresiache: ma ciò a causa della grande ignoranza che all’epoca dominava, con livelli di cultura estremamente rarefatti.   E la storia insegna che ciò che non si riesce a comprendere, specie se permeato da livelli alti di cultura, è sempre guardato con sospetto e spesso osteggiato: anche violentemente!                                                                                         
          Ricordiamo che, dati storici alla mano, già nel X° secolo, in Inghilterra, erano stabilite delle compagnie di stonemason : ne fanno fede documenti che ricordano come molti edifici pubblici e di culto fossero stati edificati grazie ad abili architetti e Maestri provenienti tanto dalla Francia che da altri Paesi europei tra cui l’Italia. Vennero scrupolosamente raccolti e organizzati statuti e norme delle più vecchie corporazioni – di epoca Romana -, trasferendone la più parte dei principi fondanti in un rinnovato contesto di connotazione prettamente inglese, creando un vero e proprio ordine sul quale allineare e disciplinare (meglio: irreggimentare) ogni simile contesto (oggi, per utilizzare un linguaggio più consono ai contemporanei, diremmo che avvenne un processo di ‘cannibalizzazione’ di tutto il bellissimo e fluido impianto dei collegia di epoca romana, trasposto – con pochissimi cambiamenti, per lo più riferiti al sacrum dei riferimenti). 
         Tale serie di eventi ci riconduce al nobile Athelstan – da considerare il vero primo re d’Inghilterra, nipote di Alfredo il Grande  - che installò le confraternite degli stonemason  ponendosi formalmente a loro protettore.  Nel 926, a York, sotto la presidenza del figlio del re (Edwin, il più giovane: che, come altri giovani rampolli di nobile schiatta, oltre ad essere stato allevato da colti precettori, era stato già messo a conoscenza di quelli che oggi ancora definiamo ritualmente essere i misteri ) queste comunità si riunirono, così costituendo quella Gran Loggia di York (926-1717) che, alla fondazione della Gran Loggia d’Inghilterra, alfine vi confluì venendovi così assorbita.
         Questa forzatura ebbe poi esiti indiretti nel 1739, con una divisione in seno alla Grand Lodge of London  - dalla quale si formò la Grande Loggia d'Inghilterra - i cui i dissidenti si unirono ai resti di corporazioni di “muratori-costruttori”, sotto la costituzione della grande Corporazione di York.    Questi dissidenti videro nella Grande Loggia d'Inghilterra l'espressione del “rito moderno” (decisamente, vi furono influssi francesi) e presero il nome di  Grande Loggia del Regime Scozzese Antico”; cui poi, a seguito del riconoscimento delle Grandi Logge di Scozia e d'Irlanda, aggiunsero - alla parola “antico” - “e accettati”. 
         E' quindi solo ed esclusivamente in questo momento che nasce il titolo di “Regime” o “Rito Scozzese Antico e Accettato”; ma attenzione: queste Grandi Logge non praticavano che i tre gradi simbolici : in pratica l’Ordine era quello costituito solo dai primi tre gradi, pur se particolarmente ricco di simbolismo ed esoterismo,  e detto Rito Simbolico era anche quello del regime Scozzese. Fu dopo che tutto ebbe a mutare, con il variare di tutta l’architettura dei Gradi!   
         Motivo per cui sembra assurdo (cfr. anche Orthodoxie Maçonnique, 1853) che in modo veramente temerario si tenti un collegamento temporale tra il 1739 e il 1804 quando il de Grasse fece una raccolta dei trentatré gradi creando a Parigi un Supremo Consiglio del 33° grado di un Rito che presumeva essere la continuazione della Antica Accettazione.
         Abbiamo quindi nel tempo il determinarsi delle:            
- “Logge di Accettazione” (nate al tramonto della muratorìa operativa ad opera di soggetti estranei al lavoro di costruzione – Muratori  e Tagliatori di Pietre – che adottarono un diverso rituale certamente permeato da un filosofare ricco di misticismo, dalle quali lo scozzesismo manifesta la sua diretta discendenza così titolandosi Antico Rito Accettato ”);
- “Logge Simboliche della Massoneria di San Giovanni” (Apprendista, Compagno e Maestro) e “Logge Simboliche di Sant'Andrea” (Maestri Scozzesi di Sant'Andrea) nel contesto del Rito Scozzese Rettificato ( per intenderci, quello nato nel 1778); 
- “Logge di San Giovanni di Scozia” riferentesi sempre ai primi tre gradi della Massoneria Azzurra (o Massoneria Turchina: definizione da non confondere però con altra analoga forma iniziatica ad est dell’Europa), operante nell'ambito dello scozzesismo (l'intitolazione onora il San Giovanni Evangelista e si riferisce allo scozzesismo della divisa rituale).
         E' utile ricordare che anche le Logge del Rito di York  citano il “San Giovanni ”. Difatti il Venerabile Maestro, allorché apre i Lavori, lo fa nel nome dei “due felicissimi Santi Giovanni ”: così che con tale citazione non c'è riferimento certo ed unico collegamento a Giovanni l'Evangelista, bensì anche al Battista; lo stesso dicasi per quelle che seguono il rito c.d. Emulation.
         Nel Francken Manuscript del 1783, un passo del rituale del XX° grado prevede la domanda ‘…Perché date alla vostra loggia il nome di san Giovanni?’’,  alla quale il preposto replica ‘…Inizialmente tutte le logge lavoravano sotto il  nome di Salomone, dato che era il fondatore della Massoneria: ma dopo le Crociate, abbiamo convenuto con i Cavalieri Templari Ospitalieri o Cavalieri di san Giovanni, di dedicare le nostre Logge a san Giovanni, poiché fu il fondamento della nuova Legge cristiana’’.  E solo l’Evangelista aveva ed ha questi requisiti.
         Nella Gran Loggia Femminile Francese, le Logge si definiscono ‘di San Giovanni’’, propendendo per l’Evangelista.
         Anche nella Gran Loggia Nazionale Francese e presso la Gran Loggia di Francia, nei loro lavori invocano San Giovanni, mentre il Rito Scozzese Rettificato, ha dedicato a San Giovanni  importanti studi e alcuni interessanti libri.
          Infine, non é certo Giovanni Evangelista – ricordiamolo: l'autore del Vangelo dello Spirito – quello cui si rifanno le Logge del Rito Riformato, considerando che sull'Ara non è neanche presente il Libro Sacro e che la loro visione del G\A\D\U\ è molto particolare: sofisticata ed esasperatamente laica, anzi  nettamente improntata ad un laicismo ove l’impronta fideistica è molto tenue.
         Ricordiamo ai lettori, invitandoli anche ad ampliarne lo studio, le citazioni e le considerazioni - nell'ampia bibliografia disponibile – contenute negli scritti di Mirabeau (“La Monarchie Prussienne sous Fréderic le Grand”), di Adolphe V. Knigge (“Uber Jesuiten, Freymaurer und Deutsche Rosencreutzen” - Leipzig, 1781; “Beytrag zue neusten Geschichte Freymaurers orden” - Berlin, 1783), di Rebold, di Bode, di Georges Smith (The use and abuse of free Masonry,  del 1866).
         Lo studio dei riflessi e del significato nella Massoneria della figura di San Giovanni mi ha fatto poi scoprire, nella seconda metà degli anni ’70 del XX° secolo, l'opera – importantissima, ma scarsamente cosciuta in Italia – scritta dal  francese Nicolas de Bonneville che nel 1788, a Londra, pubblicò un interessante studio: tanto nella prima parte (“La Maçonnerie Ecossoise comparee avec les trois professions et le secret des Templiers du 14° siecle” ), che nella seconda parte (“Mémeté des Quatre Voeux de la Compagnie de S. Ignace, et des Quatre Grades de la Maçonnerie de S. Jean”), come pure nei suoi ragionamenti, oltre che le fonti originarie citate in uno all'ampia bibliografia di corredo, fissa – ancora una volta ed in modo indubitabile – che il nostro San Giovanni, il San Giovanni dei Massoni, il San Giovanni degli Scozzesi, il San Giovanni del Rito Scozzese, è unicamente San Giovanni l'Evangelista.  Tutto il resto… è solo un filosofare, un discettare, un dirigersi verso il San Giovanni Battista, che però non offre risultati con lo stesso indice di certezza.
         Motivo per cui, quando ancor oggi citiamo “Loggia di San Giovanni” in realtà non facciamo altro che abbreviare il titolo di  Loggia di San Giovanni Evangelista”: anche il richiamo allo scozzesismo attraverso la citazione di “Loggia di San Giovanni di Scozia” si deve intendere correttamente “Loggia di San Giovanni Evangelista di Scozia” (evidentemente troppo “lungo” e dalla fonìa poco felice per poter essere mantenuto, nel tempo; al pari di quello di “Loggia scozzese o di Scozia -  di San Giovanni Evangelista”: certamente più assonante per la nostra lingua, quale titolo).
         Quindi, una “Loggia di San Giovanni” degna di tale titolo, che quindi operi coerentemente e correttamente con la ritualità ed il simbolismo prescritti per tale contesto, deve avere dei requisiti imprescindibili:
-       essere una Loggia Azzurra, che operi con gli arredi ed i paramenti prescritti, ivi incluso il Labaro;
-       avere tutti i Fratelli attivi nell’ambito del Corpo Azzurro degli AA\LL\AA\MM\,  con adozione di paramenti Azzurri con sottile bordo rosso;
-       adottare tutte le prescrizioni simboliche e ritualistiche che disciplinano le Logge Azzurre e gli AA\LL\AA\MM\; prima tra tutte l’inibizione della presenza maschile in Logge femminili e viceversa;
-       i FFr\ e le LL\  non praticano né tollerano miscugli di Ordine e di Rito;
-       adottare il Libro Sacro (la Bibbia, nel nostro caso) sull’Ara;
-       onorare la Festa dell’Ordine, celebrando il Patrono San Giovanni Evangelista il 27 Dicembre di ciascun anno (ma è ormai simpatica consuetudine festeggiare anche il Battista);
-       adottare tutti i segni e/o gli emblemi che raffigurino e/o palesino la fede nel  G\A\D\U\, testimonianza della coerenza dell’essenza libero-muratoria alle norme dell’Ordine ed ai suoi Statuti Generali (nota: in ogni caso, parliamo sempre della c.d. ‘Massoneria Moderna’);
-       i FFr\ muniti del grado di Maestro potranno completare il proprio percorso  transitando obbligatoriamente dal Rito Simbolico (corrente anche con il nome di Ordine Simbolico) al Rito Scozzese A\ e Accettato.  Se i protocolli intercorrenti tra i Corpi Superiori lo potranno consentire, i FFr\  oltre che al Rito Scozzese A\ e A\ potranno aderire anche ad altro Rito: sempre che questo, a sua volta,  abbia un’intesa protocollare con il Corpo Simbolico di sua appartenenza e che anche per il  Rito Scozzese A\ e A\  non sussistano condizioni di conflittualità e/o incompatibilità con tale altro Rito (i Riti, si sa, non sono tutti uguali: così come i loro rapporti con i Corpi Simbolici hanno sfaccettature e sfumature diverse).
         Spendiamo ora una parola a proposito di Elias Ashmole – divenuto un’icona nella Storia della Massoneria (specie anglosassone) -.  La letteratura di corredo ci ricorda che non possiamo trascurare la sua opera; fu accettato nel 1646  nella Loggia di Warrington (Marc Saunier, meticoloso studioso e indagatore dell’opera di Ashmole, tra il 1907 e il 1910 scriveva che la scelta di Ashmole fu dovuta al fatto che “… i Muratori inglesi erano restati, più che gli altri costruttori di Templi, gli eredi fedeli delle tradizioni liberali dei loro antenati Iniziati...”), fu poi iniziato in Germania al rito Rosa+Croce.   Elaborò in seguito una profonda riforma dividendo in quattro gruppi la nuova fratellanza di segno speculativo emersa nel 1717: il primo comprendeva i primi tre gradi, proseguendo i c.d. Misteri dei Liberi Muratori; il secondo prevedeva quindici gradi, di origine Rosa+Croce e approfonditi attraverso l’approfondimento della Gnosi; il terzo gruppo era di provenienza Templare, e prevedeva una sufficientemente armoniosa fusione dell’intelletto con la scienza; il quarto gruppo, che all’apice aveva un grado XXXIII°, sintetizzava tutti gli altri in una visione prettamente alchemica.    Questo  complesso curato da Ashmole, fu il primo articolato ritualistico di segno speculativo.                                 
           La figura di questo illustre Fratello è particolare e per taluni spetti controversa: dal 1646, data della sua acception, la successiva data nella quale si parla di Massoneria è quella del 1682 – data di una riunione presso la Mason’s Hall -. Che il suo ruolo, come elemento di unione tra la Massoneria operativa e quella speculativa, sia stato inferiore a quello che comunemente si crede?  Certamente il vuoto di oltre trent’anni che nessuna cronaca ci aiuta a colmare, e durante il quale non vi è pressoché traccia del binomio Ashmole-Massoneria,  non ci aiuta a sciogliere questo dubbio, facendo sì che la figura di Ashmole – a seguito degli ultimissimi approfondimenti – sta assumendo sempre più il ruolo del fedele cronista e rifinitore di risultanze maturate altrove e con altri soggetti. E forse con altri progetti.
         Tornando alle incertezze (o ignoranze?) di molti sulla reale figura del San Giovanni degli scozzesi, la storia della ‘nascita’ della Massoneria come tale (leggasi: Massoneria Moderna) e dello scozzesismo come suo Rito di elezione - come pure la storia degli Antichi Liberi e degli Accettati - è avvolta in un inestricabile intreccio di storie, storielle, affabulazioni, leggende, in cui coesistono - oltre a quanto storicamente accertabile e documentato – vere o presunte influenze templari, scozzesi (Bruce Re di Scozia), stuardiste, e perfino della Chiesa Cattolica (attraversi i Gesuiti).
         Un particolare richiamo circa la comparsa degli Alti Gradi Scozzesi, ci porta anche agli studi di Luigi Sessa sul celebrato ‘Discorso’ del Cavaliere di Ramsay.  Un ‘Discorso’ in realtà mai proferito, pur se suscitò grande entusiasmo, al punto da ricondurre ai suoi contenuti la comparsa – tra il 1738 e il 1739 di quei “Maestri Scozzesi” il cui obiettivo era nettamente riformatore.   Segno che, già appena 20 anni dopo la nascita della c.d. Massoneria Moderna si percepivano delle profonde incertezze nei testi, specialmente nelle parti ricostruttive e rituali dei modern di Londra  – volutamente e superficialmente  – molto ignorava delle Tradizioni più antiche e della marcata impronta rituale di cui erano portatori gli antient di Scozia.  Nell’ottica di molti studiosi, Ramsay sosteneva che i Massoni avrebbero genitura nei Cavalieri Crociati, posto che  "… i Crociati, provenienti in Terra Santa da tutte le parti della cristianità, vollero riunire in una sola confraternita uomini d'arme di tutte le nazioni … [omissis] … non furono soltanto architetti di templi materiali, ma anche di princìpi religiosi e guerrieri che essi volevano fare risplendere, edificare e progettare nei templi spirituali dell'Altissimo …".  Personalmente, ritengo che la ricostruzione da me tracciata confermi invece che - pur se i Crociati, nel loro girovagare e permanere, come nel loro andare e venire dalle terre lontane di Palestina (ma non solo) portarono in Europa molto del bagaglio culturale e tecnico degli Arabi – trovarono già la realtà delle lodge e delle corporazioni : loro ebbero ad inserirsi in queste realtà semi-iniziatiche, marcatamente operative, impregnate di una forte Fede che l’intelletto indirizzava verso la Gnosi, mutuandovi le loro conoscenze e potenziandone gli effetti.    Cercare un nesso di casualità tra i due elementi non è a mio avviso corretto: l’equazione Crociati = Massoneria, zoppica vistosamente.
         A ben vedere, parti del “Discorso” inducevano persino a potervi intravedere una sorta di trampolino ad un  temerario e vanaglorioso progetto – di marca pseudo cattolico-stuardista – inteso a favorire la riconciliazione della Chiesa Cattolica con la Massoneria, e della prima con la Monarchia Inglese, con il conseguente ritorno degli Stuart sul trono inglese.   
         Quanto fosse inconsistente o irrealizzabile questa possibilità, sono i fatti a testimoniarlo: appena due anni dopo, il 24 aprile del 1738,  Clemente XII° scomunica la Massoneria, mentre l’ultimo degli Stuart muore lontano dalla sua terra.  Un duro colpo, dopo quello inferto il 13 ottobre 1307 - che passò alla storia come il primo, sfortunato, venerdì 13 (ma tale nomea è solo nata nel 1800…) – che segnò l’inizio della fine per i Poveri Cavalieri di Cristo del Tempio di Salomone.  Ai quali si aggiunse il colpo di maglio sferrato il 18 marzo del 1314, data in cui l’ultimo Gran Maestro Templare - dopo vari processi farsa, torture, scomuniche, perdoni e recidive (relapso) – venne arso sul rogo insieme a Geoffroy de Charney (dando così il via ad una parte della Leggenda della Sindone : secondo una leggenda nella leggenda templare, il personaggio raffigurato nel Sacro Telo della Sindone sarebbe in realtà proprio Jacques de Molay. Ma in realtà la querelle è stata di recente risolta, attribuendo alla tela una retrodatazione non più compatibile con la morte del Gran Maestro). Fece da contorno nel 1312  la scomunica definitiva dell’Ordine del Tempio da parte di Papa Clemente V°: i Templari furono di fatto annientati, tutte le proprietà confiscate e i Cavalieri perseguitati e uccisi.   I sopravvissuti che mostrarono pentimento, per lo più a seguito di sacre torture, furono accettati nell’Ordine rivale degli Ospedalieri: che ne incamerò le sostanze!  Se a tutto ciò aggiungiamo le soavità commesse in nome della Chiesa di Roma allorché questa decise di reprimere nel sangue, con le peggiori atrocità, il ribelle pronunciamento dei Catari, incaricando milizie assoldate e travestite da Cavalieri Templari (per colpevolizzarli, essendosi rifiutati di compiere l’eccidio di chi aveva il loro stesso sentire spirituale)… ebbene, è facile comprendere perché la Chiesa – ma non tutta la Chiesa – ce l’abbia tanto con i Massoni, e con ciò che essi storicamente rappresentano.

Roma, 4 Febbraio 2016                                        Giuseppe Bellantonio
 
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