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mercoledì 25 novembre 2015

TOTO' IN CHIAVE ESOTERICA


           Il nome dell'Ill.mo Fratello Virgilio Gaito - per lungo tempo ai vertici del GOI - è ben noto ed apprezzato tanto nell'ambito della Massoneria Italiana che in quello della Libera Muratoria mondiale.    
          La sua visione lungimirante e concreta è sempre attuale ed i suoi scritti continuano a rappresentare un solido insegnamento per quanti desiderino apprendere e confrontarsi anche su temi solo all'apparenza agevoli, facili. 
          Abbiamo già ospitato un suo pregevole scritto ed oggi - per sua espressa, fraterna e delicata concessione - possiamo sottoporre ai nostri Lettori una sua Tavola di oltre 15 anni fa dedicata alle tematiche soteriche e simboliche di cui ricca portatrice la poesia di Totò "'A livella". 
           Tavola di cui lasciamo integro ogni originale particolare, nel rispetto tanto dell'Illustre Autore che del contesto ove egli era all'epoca attivo.
            Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliadi De Curtiis di Bisanzio -, più semplicemente, il  nobiluomo Antonio De Curtiis: in arte Totò - fu un Illustre Iniziato Massone; conobbe la Luce nelle Logge della Comunione di Piazza del Gesù - per intenderci, quella attiva in Piazza del Gesù 47 - ed i suoi Fratelli di Loggia lo assistevano nelle prime - non facili - rappresentazioni in pubblico.
            In epoca successiva, già insignito di Alto Grado del RSAA, lasciò tale Comunione per aderire ad altro contesto iniziatico: ma mantenne sempre rapporti di alto livello con i suoi Fratelli dell'Ordine di provenienza, che chiamava "i miei Fratellini della mia prima vera Casa" (così, nei  vivi ricordi del nostro Car.mo Fr. Vincenzo Sprovieri: oggi all'Or. Eterno).
           Di Totò-Massone si sa molto ma in realtà si sa poco, avendo egli mantenuto sempre un profilo improntato a discrezione e, proprio in tale seconda sua fase, ad una sempre più rarefatta frequentazione dei Lavori della Loggia di cui era parte.  
           Leggendo la sua poesia "'A livella" possiamo capire molte e molte cose della sua sensibilità di Uomo e di Artista, prolifico poeta, drammaturgo, paroliere e cantante.
          Ma ancor più possiamo comprendere di lui e del suo pensiero leggendo questo incisivo, esperto e profondo tracciato dell'Ill.mo Fratello Gaito, cui va il mio personale plauso e ringraziamento, non dimentico delle sue parole di sincero apprezzamento rivolte alla Memoria di mio Padre, il Gran Maestro Francesco Bellantonio.
 
Roma, 25 Novembre 2015                                         Giuseppe Bellantonio         

                                    'A LIVELLA
 
       Tra le poesie sgorgate dall'animo sensibile del Fratello Antonio De Curtis, in arte Totò, quella ormai più nota e recitata è certamente "A' livella" per la vena di profonda umanità che la pervade, ma, soprattutto, per il significato esoterico che a noi, come lui iniziati, appare in tutta la sua evidenza, ammonitrice della caducità delle cose terrene che rivelano la loro irrimediabile fallacia di fronte all'evento finale conclusivo della nostra esistenza: la Morte.
       Il poeta immagina di essere rimasto rinchiuso in un cimitero per essersi abbandonato a meditare sulla pompa delle tombe e sulle iscrizioni sepolcrali rispecchianti la condizione sociale dei vari defunti, perfino in quel luogo severo, ricordati a parenti e viandanti per le loro qualità terrene vere o presunte e tanto più onorati quanto più elevati nella scala sociale.
      Ad un tratto egli vede materializzarsi vicino alle rispettive tombe le figure di un nobile arrogante e agghindato lussuosamente e di un povero netturbino umile, ossequioso e mal vestito che viene accusato dal primo di lesa maestà per essersi fatto seppellire in una tomba modestissima, abbandonata, proprio  accanto alla sua che risplende di luci, fiori e iscrizioni altisonanti.
      L'accusato dapprima si schermisce con una disarmante chiamata di correo: se fosse stato per lui, non avrebbe mai osato tanto, ma la decisione è stata presa dai familiari ed egli, essendo morto, non si è potuto opporre.
      Di fronte al tono villano del nobile che gli intima di trasportare immediatamente le sue umili e maleolenti spoglie ben lontano dal proprio rutilante sepolcro per non dover trascendere alla violenza non consona al suo rango, lo spazzino ha un sussulto di orgoglio e gli ricorda che la Morte è una livella che cancella ogni pompa terrena e rende tutti uguali al suo cospetto.
      E conclude, con infinita saggezza: "nuje simmo serie... appartenimmo â morte!".
      Nella molteplicità di messaggi sul mondo degli uomini che Totò ha consegnato alle sue poesie, semplici e perciò alla portata di qualsiasi lettore, ma proprio per questo maggiormente idonee a stimolare profonde riflessioni, si coglie un invito alla semplicità, alla riscoperta dei valori genuini, alla fratellanza, all'uguaglianza, alla libertà, all'Amore.
      E, se pure l'affresco de "A livella" si conclude agli occhi del profano con la rappresentazione della maestà della Morte che impone serietà nel senso del superamento di ogni motivo di divisione, di separatezza, di incomprensione, di odio, di sopraffazione, per noi Iniziati il messaggio del Fratello Antonio De Curtis richiama subito alla mente l'esortazione del Maestro Venerabile all'apertura dei lavori di Loggia: "Tutto in questo Tempio deve essere serietà, senno, benefizio e giubilo".
      E' questo un imperativo categorico scaturente proprio dall'Iniziazione che ciascuno di noi ha drammaticamente vissuto.
      Nella vita di un uomo è infatti possibile morire due volte, l'una quando il nostro corpo si disgiunge dal cosiddetto spirito vitale e si corrompe rapidamente trasformandosi in cenere, l'altra quando si attraversa il sipario di fuoco che separa il profano dal sacro e si diventa iniziati.
      In greco iniziare è espresso dal verbo "TELEUTAI" e significa far morire. Iniziare infatti è come far morire, provocare la morte. Ma non si tratta di una morte totale, definitiva, sibbene di un'uscita, del raggiungimento di una porta che dà accesso ad un'altra dimensione: infatti all'uscita succede un'entrata. L'iniziato passa da un mondo a un altro e da ciò subisce una trasformazione; egli cambia di livello, diviene diverso.
      Ecco qui tornare il significato della livella attribuito da Totò alla Morte, intesa come conclusione di un percorso terreno strepitante di metalli ed avvio al raggiungimento della Verità alla quale l'Iniziato deve accostarsi con serietà affinché il proprio Tempio interiore, nella pace conquistata, possa trarre "benefizio e giubilo".
      La morte iniziatica è morte al mondo in quanto superamento della condizione profana così che il neofita sembra subire un processo di regressione, la sua rinascita è paragonata a un ritorno allo stato fetale  nel grembo della madre. Certamente, egli penetra nella notte, ma, se questa assomiglia al buio del seno materno, la notte dell'iniziato assume la vastità e - non appaia contraddittorio - la luminosità della notte cosmica.
      E di questo significato così profondo ed esaltante dell'Iniziazione massonica ci giunge testimonianza da uno dei più grandi geni espressi dall'Umanità, Wolfgang Amadeus Mozart, quando, nella celebre lettera del 4 aprile 1787 al padre Leopoldo, anch'egli divenuto Massone, così si esprime: "Poiché la Morte, tutto considerato, è la vera meta della nostra esistenza, mi sono talmente avvicinato in questi ultimi anni a questa buona e fedele Amica dell'umanità che la sua immagine non mi incute più terrore, ma invece mi consola e mi conforta! E ringrazio Iddio di avermi dato modo (sapete ciò che intendo) d'imparare che la Morte è la chiave che apre la porta alla nostra vera felicità".
      Il divino Mozart sapeva infatti che l'iniziazione segna l'ingresso irreversibile in una dimensione spirituale dove è quella vera felicità da lui religiosamente ricercata per tutta la sua vita terrena.
      Poiché la Massoneria, come mirabilmente affermava il Fratello Johann Gottlieb Fichte, libera l'uomo dalla sua religione per elevarlo alla dignità di uomo universale che tuttavia ha una sua religiosità, una necessità del sacro ove regna la felicità, intesa come perfezionamento di se stessi ed elevazione dello spirito verso l'Essere Supremo.
      E l'intima conoscenza della Morte si avverte nelle composizioni mozartiane a carattere religioso quali le "Messe" e, soprattutto, il celeberrimo "Requiem", nelle quali è trasfusa la religiosità propria del Massone che, librandosi al di sopra dei dogmi, indica all'Umanità una via universale di salvezza fondata sul miglioramento di sé conseguibile con quella Iniziazione che ha segnato la morte alla vita profana.
      Ma il fratello Antonio De Curtis, nel paragonare la Morte alla livella ben sapeva, da quel perfetto Iniziato che era e che ha donato tanta felicità a milioni di esseri umani, che tale strumento, nella simbologia massonica, è uno degli elementi più importanti.
      Egli conosceva profondamente il valore del simbolo.
      In greco antico il termine "symbolon" si collega al verbo "synballein" che significa "mettere insieme", "unire", da cui una prima accezione del simbolo come di concetto che è racchiuso dapprima in forma palese a chi ne sia l'autore e poi sempre più ermetica per tutti coloro che nel tempo e nello spazio siano lontani dal suo processo formativo.
      In origine, si chiamava simbolo (in Roma, "Tessera hospitalis") un oggetto che indicava il legame di ospitalità tra famiglie o città, spezzato in più parti, ciascuna delle quali rimaneva a uno dei contraenti il legame, e che, nel loro combaciare, valevano come segno di riconoscimento.
     Ecco di nuovo il concetto di unione che ritorna in maniera plastica a significare la solidarietà tra tutti coloro che fossero legati da un vincolo inizialmente di ospitalità, ma via via più ampio fino a ricomprendere un credo, una filosofia, una scienza, una conoscenza.
     Nel mondo moderno, l'interpretazione tende ad astrarre dall'elemento materiale. Oggi la più nota e diffusa accezione del simbolo, quella ispirata da Nietzsche e da Freud, lo concepisce come occultamento e maschera che, comunque, contenga più di quanto non dica esplicitamente. E questo "di più" è interpretato dal grande studioso Paul Ricoeur come una peculiare trascendenza del simbolo rispetto a coloro che lo interpretano.
     Sicchè non a caso il Fratello De Curtis si è poeticamente ispirato alla livella che, insieme al filo a piombo o perpendicolare, si ritrova nei gioielli dei due Sorveglianti la cui dualità corrisponde a quella delle due colonne del Tempio di Salomone.
     Sappiamo che la livella è costituita da una squadra giusta alla sommità della quale è sospeso un filo a piombo. Il suo scopo essenziale è quello di determinare l'orizzontale, ma al tempo stesso essa determina anche il verticale. Ecco una prima approssimazione dell'immagine della Morte accoppiata alla posizione supina, orizzontale del defunto, ma, nel contempo, alla elevazione verticale della sua anima verso il cielo.
     Ma, ancor più profondamente, la struttura della livella ci permette di ricollegare il suo simbolismo a quello della croce delle dimensioni cosmiche: manifestazioni della Volontà celeste al centro del cosmo, illuminazione armonica a livello cosmico dove il nostro spirito raggiungerà la Verità.
     Non dimentichiamo che la livella è il gioiello del I Sorvegliante al quale sono affidati i Compagni d'Arte i quali sono passati dalla perpendicolare (gioiello del II Sorvegliante che vigila sugli Apprendisti) alla livella, realizzando così quella maggiore illuminazione che deriva dalla conoscenza dell'attività celeste, così che il Compagno é preparato ad affrontare senza paura la prova suprema che lo attende nella Camera di Mezzo, suggello della Maestria conquistata.
     E, infatti, nella Squadra che adorna il gioiello del Maestro Venerabile si ha la sintesi dei significati simbolici della Perpendicolare (equilibrio) e della Livella (equanimità) dai quali deriva l'autorevolezza connessa alla rettitudine.
     Ma non va dimenticato che simbolo può essere ricollegato anche ad una qualifica e non a caso Il Fratello Antonio De Curtis ha posto al centro del suo affresco poetico la figura del netturbino, un mestiere utile alla collettività che va liberata dalle proprie scorie e collegato quindi ad un'esigenza di pulizia, di purezza, di riscatto dalle brutture del mondo, di catarsi, di rigenerazione.
     Ecco il trasparente richiamo al lavoro dell'Apprendista, tenuto a sgrossare la propria pietra grezza per mondarla delle sue asperità e delle sue impurità, rendendola così degna di una progressione iniziatica verso la conoscenza, ma anche idonea ad incastonarsi perfettamente nel disegno divino del miglioramento dell'Umanità.
     Peraltro tutto il comportamento di quel netturbino, modesto solo all'apparenza, ma ben fiero della propria dignità di uomo onesto, consapevole della propria missione purificatrice, tanto da ribellarsi alla minaccia alla sua libertà profferita dal nobile tracotante, e da erigersi a saggio educatore e, nel contempo, di difensore della libertà e della dignità di tutti ci rende consapevoli che Totò ha voluto simboleggiare nella figura del netturbino non tanto quella dell'Apprendista quanto piuttosto quella del Maestro.
      Con le semplici, ma incisive parole del povero svillaneggiato netturbino:
 
"ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale?....
Muorto si tu e muorto so pur'io;
ognuno comme a'n'ato è tale e qquale"

il nostro Fratello Totò ci insegna infatti dapprima ad essere realisti, a privilegiare l'Uguaglianza pur nella diversità.
      Più oltre, l'ammaestramento si arricchisce del valore dell'umiltà quando commenta il significato della Morte come livella:

"Nurré, 'nu magistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme".

      E, infine, quando esorta il nobile:
"stamme a sentì...nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti pagliacciate 'e fanno sulo 'e vive",
quel vero Iniziato fa appello alla Tolleranza che nutre di sé la Fratellanza, quel sentimento che, intriso di Amore, rende consapevoli dell'osservanza dell'imperativo categorico: " Conosci Te stesso ", habitus di ogni Massone nel Tempio, dove tutto deve essere "serietà, senno, benefizio e giubilo".
      Soltanto a un profano sprovveduto, dunque, "'A livella" può apparire una suggestiva lirica, sorprendente in un grande comico, inneggiante alla maestà della Morte che tutto annienta e pareggia.
      A noi Iniziati il Fratello Antonio De Curtis ha invece regalato una Tavola di straordinaria profondità nella quale, con mirabile sintesi e semplicità ci guida da impareggiabile Maestro col dolce sorriso dell'intelligenza, nelle verdi praterie dell'Armonia universale dove regnano bellezza, bontà, verità, figlie dell'"Amor che muove 'l sole e l'altre stelle".
      Quell'Amore che dovrebbe guidare noi tutti sempre e dovunque in una ininterrotta Catena che, ancora una volta, il Fratello Totò invoca dal cosmo per un'Umanità migliore in una delle sue più brevi ma non meno profonde e delicate liriche: "'A cunzegna"

"'A  sera quanno 'o sole se nne trase
e dà 'a cunzegna à luna p' 'a nuttata,
lle dice dinto 'a recchia: «I' vaco â casa:
t'arraccumanno tutt' 'e nnammurate»
 
       Non più nobili e netturbini dunque, ma Uomini veri affratellati dall'Amore nel rispetto reciproco della dignità e della libertà.
       A.'. G.'. D.'. G.'. A.'. D.'. U.'.
                                         VIRGILIO  GAITO
                                      M.'. V.'. della R.'.L.'.
                                    PISACANE DI PONZA HOD n.160
                                         all'Or.'. di Roma
9 marzo 2001 E.'.V.'.
 

sabato 7 novembre 2015

EQUIVOCI ED EQUIVOCITA'... (seconda parte)


EQUIVOCI STORICI ED EQUIVOCITA’ PERSONALI
(seconda parte)

          Nella ‘prima parte’ di questo scritto ho espresso delle mie valutazioni d’ordine certamente generale, ma è ovvio che nessun contesto organizzato è – in assoluto – esente dalla fenomenologia descritta: tantomeno la Comunione di Piazza del Gesù, nel cui contesto e per lunghissimi anni – direi, da sempre -  ho avuto il privilegio di operare.
          Mi indirizzo ora proprio verso questo contesto per chiarirne agli altrui occhi alcune peculiarità: poco note all’esterno ma del tutto note a chi vi possa aver operato, con pienezza d’intenti, saldezza nei principi, consapevolezza e coscienza.
          E’ risaputo e documentato – tanto in Italia che all’Estero - come detta Comunione da sempre operi nella costante ricerca dell’Unione Massonica e come ciò sia stato sempre un obiettivo reale e concreto cui ha costantemente teso l’azione degli Illustrissimi Gran Maestri e dei Potentissimi Sovrani della Famiglia Massonica di Piazza del Gesù.   Purtroppo, difficilmente lo spirito che permeava il loro agire ha trovato rispondenza piena, costante e leale nell’altrui comportamento: spesso camuffato per meglio ottenere il proprio tornaconto; colpa della natura prettamente umana dell’Uomo, fallibile pur se perfettibile.
In qualunque caso, mai si è potuto dire che la Storica Comunione di Piazza del Gesù non sentisse la  forte esigenza di tendere all’unione dei Massoni Italiani, o che i suoi vertici non fossero disponibili a porre sul tavolo delle trattative ogni loro prerogativa per agevolare il concretizzarsi di un qualche tentativo: è stato messo sul piatto della trattativa il classico maglietto, simbolo dell’Autorità e del Potere Simbolico.    Gesto, questo, che in verità – dal 1908 in poi – per ben sei volte si è verificato nella Comunione, e per altrettante volte è naufragato per le altrui responsabilità!
In tale azione, come non smetto di sottolineare ad ogni occasione, noi Massoni di Piazza del Gesù – così immensamente ricchi di Storia, ma anche tanto segnati dalla Storia stessa: come un maleficio che ci abbia voluto tenere separati – siamo sempre stati avanguardia intelligente, razionale e coerente;  non è un caso se tutti hanno sempre teso a “copiarci”, se tutti hanno sempre ambito ad impadronirsi di qualcosa di nostro, anche saccheggiando  qualcosa del nostro inestimabile patrimonio.  Ma rubare una macchina non equivale a saperla costruire, ovvero a conoscerne le tecniche costruttive ed i materiali!
Il patrimonio dei primi massoni regolari in Italia, degli unici ad essere riconosciuti, dei soli AA.LL.AA.MM. – Antichi Liberi ed Accettati Massoni - correttamente da sempre operanti come tali e quindi riconosciuti a livello internazionale, degli unici a potersi fregiare dell’appellativo di Comunione Italiana: originato con la deposizione del proprio maglietto da parte di Domizio Torrigiani (GOI) nelle mani di Placido Martini (Piazza del Gesù)!   
Tutto il resto… è noia; è scopiazzatura; è appropriazione indebita di un qualche documento, di un qualche attributo, di una qualche parte del nostro corpus; è atteggiamento falso e truffaldino per non aver rispettato dei patti; ma è stata anche nostra eccessiva fiducia negli altrui impegni, nell’altrui parola d’onore, ma anche nelle (vane ed inefficaci) garanzie internazionali…
Questa è stata ed è la Comunione di Piazza del Gesù: protagonista e vittima della propria unicità.  
Non é un caso se tutti coloro che hanno preso strade via via diverse dalla nostra hanno sempre ambito a imitarci, carpendo o tentando di carpire un qualcosa che potesse farli apparire ‘come se fossero’, pur ‘non essendo’:  in particolare mi riferisco a chi si è voluto definire obbedienza ed a chi abbia voluto definirsi discendenza di quella che amo definire la nostra Nobile Stirpe – se c’è un’Arte Reale, ci sarà pure una Nobile Stirpe che la vive e la pratica -: e ciò, pur non avendone titolo, legittimità e soprattutto le qualità intrinseche: storiche, morali e materiali, ritualistiche ed etiche.
 Insomma, si è sempre cercato e si cerca ancora di imitare il nostro stile, la nostra stessa impronta, le nostre tradizionali linee di pensiero e di azione.
Taluno ha addirittura sezionato la toponomastica di Roma, per porsi in una qualunque prospettiva che potesse consentirgli di ricondursi – nella ricerca spasmodica di una qualche parvenza di regolarità e/o legittimità – a quella Piazza di Roma che ha il nome di Piazza del Gesù.  Nello stesso modo con cui, sempre soggetti di tale genere, arrivano ad indicare sulle loro carte di operare in Roma – ovvero, allo Zenit di Roma – senza però esservi stabiliti…  Misteri di quel massonismo italico dal tanto fumo e dal poco arrosto, animato dalla logica dell’apparire piuttosto che non dell’essere!
Anche se alcuni termini vengono artatamente adoperati per identificare un Gruppo, una Famiglia massonica o una Comunità iniziatica, specifichiamo bene: “obbediente può dirsi di qualcuno che – ancora adesso – stia all’obbedienza di qualcun altro, sia obbediente e quindi sottomesso alle sue disposizioni e ne segua le direttive; quindi, chi si dichiara “obbediente” non é coerente con la sua asserita autonomia decisionale, ma ha solo scimmiottato una terminologia per spuntare un qualche accredito, tanto al proprio interno che  all’esterno.
Figuriamoci come sia ancor più difficile e temerario definirsi “discendente” di qualcuno, senza averne l’impronta: il DNA paterno o materno, che dir si voglia, al pari della continuità nella trasmissione di dette caratteristiche.  Salvo che non si voglia metaforicamente quanto simbolicamente ricondursi alle origini: tutti discendiamo da un Adamo e quindi dalla sua metà, Eva; analogamente tutti discendiamo dal primo Libero Muratore, dal primo Maestro di Pietra; ossia dal primo Libero Massone, ossia dal primo Maestro esperto nell’Arte della Geometria e della Matematica, e quindi dell’Esoterismo e del Simbolismo, come pure delle magie dell’Alchimia – antesignana delle scienze fisiche e chimiche -. O ancora: in ipotesi tutti potremmo discendere dalla prima Loggia o Gran Loggia dell'Antichità (atlantidea, egizia, mesopotamica, indiana, tibetana, incaica, maya...), o altro ancora di simil-vero ma non vero…  quantomeno se ci riferiamo al fattore tempo ed al filo della riconducibilità ossia della connessione. Quindi parliamo di discendenze solo presunte: ammiccanti, luccicanti… un po' come “l'oro di Bologna, che però si fa nero per la vergogna”.
Come in ogni indagine scientifica, però, è bene chiarire che la legittimità di un qualcuno non é solo nei pezzi di carta incorniciati, non è solo nella sbandierata esclusività dell’apparenza; non è solo nel luogo che si occupano; non é certo solo nella ricerca – in fondo ad un qualche baule – di una vecchio Decreto di Costituzione (che altro non potrebbe dirci se non “dove e quando, ed in quale circostanza, noi siamo stati” un certo giorno); non é  solo nei ricordi o nelle affabulazioni (ho preso un caffè con… ho parlato con… ero vicino a lui… mi ha stretto la mano… eravamo lì anche noi… ho visto… ho letto…) fatti peraltro da chi di certo “non c’era”; non é solo nelle solenni assicurazioni di chi si affanna a dichiarare di proseguire l’opera di questo o quello tra gli Illustri Nomi del passato (che magari non hanno mai conosciuto; c’è poi, anacronisticamente, chi cita indifferentemente l’azione dell’uno o dell’altro: come se avessero mangiato alla stessa mensa, fin da quando erano insieme all’asilo… come se avessero vissuto le stesse battaglie… come se avessero percorso le stesse strade, gli stessi pensieri… come se, in una realtà assolutamente immaginaria, fossero stati insieme… o almeno qualche volta ne avesse raccolto i pensieri…); non é solo nelle mere registrazioni di nomi o altri atti (quasi a volersi forzatamente appropriare di un qualcosa che “non é” né può essere proprietà o feudo personale (in quanto è “patrimonio comune”; ossia, talvolta si é cercato di fissare solo sotto il profilo cartaceo un qualcosa di cui farsene bandiera, spesso per avere un comodo alibi finalizzato a coprire le proprie irregolarità, le proprie grossolane lacune... e per andare tranquillamente in giro a pavoneggiarsi e andare a caccia di sprovveduti da ‘sottoporre’ a iniziazione!).
  Queste cose, le lasciamo agli altri: ai piccoli uomini che non riescono ad essere neanche modesti massoni, senza una loro autentica storia per giunta.   Figuriamoci se possono surrogarsi ai veri, autentici, genuini Massoni della nostra Storica Famiglia, tentando – senza poterci riuscire -  di insinuarsi subdolamente nella nostra Storia e nelle nostre Tradizioni.     
  Perché qui é la vera chiave di lettura: nessun altro, se non noi, “é” la Comunione Italiana; nessun altro, se non noi, “esisteva” prima degli altri; nessun altro, prima di noi, “stava” a Piazza del Gesù; nessun altro, prima di noi, era “conosciuto” e “riconosciuto” Massone in rappresentanza dell’Italia.
  Ma non solo.
  La nostra regolarità, la nostra unicità e la nostra legittimità, sono nella continuità: anche nel portare con noi questo ‘bagaglio storico’.
Una continuità “ininterrotta” in quanto mai sono state spente le Luci del Tempio, né mai sono stati dichiarati “chiusi” – e quindi definitivamente “conclusi” i Lavori della nostra Famiglia: in alcuna circostanza: men che meno allorché il GOI e Piazza del Gesù si riunificarono nel 1973, per poi ri-separarsi pochissimo tempo dopo (ricordiamolo agli immemori: la responsabilità venne pubblicamente ascritta all’allora GM del GOI Salvini che fin da subito non rispettò gli accordi sottoscritti, in ciò fieramente contrastato dal GM Bellantonio e da chi era fedele alla Storia ed alle Tradizioni di Piazza del Gesù).   
E la nostra regolarità – volendo dire in modo anche provocatorio che in Italia siamo tutti “irregolari”sta proprio nello svolgere in modo regolare i nostri Lavori: sotto il profilo ritualistico, lessicale, statutario, persino scozzese.
E già questo – ossia il lavorare in modo regolare - fa la fondamentale differenza, in un panorama Massonico nazionale del tutto deprimente, dove l’inventiva ed il pressapochismo sono dominanti: pensate, pochi giorni fa da una fonte serissima (e depressa, nella circostanza), ho appreso che un azzeccagarbugli abile in massonismi e massonichese – forse, uno di quelli che vive di massoneria e non per essa, e  che, evidentemente, Massone non è: anche se sedicentesi gran maestro o sovrano di questo o quel micro-regno – si vanta di aver acquistato da un altro soggetto – a sua volta, altro gran maestro e sovrano di un qualcosa di lillipuziano – i ‘diritti’, le ‘carte’ e le ‘patenti’ per sostenere una qualche riconducibilità storica ovvero una di lui qualche regolarità! Cose incredibili, assurde!
Ora: se parlassimo di una soap o di un reality, il fatto che se ne possano acquistare i ‘diritti’ è una cosa normale e che non suscita meraviglia; nel nostro caso ciò è invece letteralmente blasfemo!
Un insulto ai buoni Massoni e all’altrui intelligenza, un’oscenità nei confronti di quegli Alti Ideali Muratorii per cui in molti versarono il proprio sangue, un illecito che meriterebbe ben altra sanzione che non quella solo morale!!!  E tutto per pavoneggiarsi, per vanagloria, per vendere meglio fumo a quei poveracci che hanno la disgrazia di subire colà una iniziazione-farsa ma anche una iniziazione-truffa.
Torniamo ora a noi.
La nostra vera ed esclusiva continuità é nella nostra stessa matrice genetica: una matrice che trova identità certa non solo nelle consanguineità fisiche, ma anche nelle affinità elettive, intellettuali, etiche, morali ed affettive riposte nell’Ideale Massonica e nel valore assoluto della Tradizione: così seguendo sempre un’unica linea, un’unica ratio massonica, fatta in buona parte di fede e di fedeltà, ma anche di uno spessore tale da suscitare ancora oggi delle malcelate e grossolane invidie.
  E’ proprio la nostra comunanza di stirpe – sotto il più ampio profilo, assimilabile al significato del termine latino gens -  che lega il passato al presente, al futuro stesso della nostra Comunione e della stessa Massoneria Italiana: una comunanza che nessun altro ha, e che testimonia l’esistenza – ininterrotta – di un unico filo conduttore, di un unico legame ideale e reale dell’oggi con il passato: peraltro, unico elemento certo per un’attiva e concreta presenza futura.
  Io ho avuto l’onore ed il privilegio di esserne stato Gran Maestro: un Gran Maestro eletto liberamente e regolarmente dai Venerabili in una regolare Tornata di Gran Loggia, secondo le attuali Regole della Massoneria Internazionale.
         Il mio cognome che, rappresenta non solo una grande responsabilità etica e materiale verso la Memoria del mio Illustre Genitore - il compianto Gran Maestro Francesco Bellantonio: colui che diede grande lustro alla nostra Comunione, portandone il seme vitale fino alle soglie del terzo Millennio -, ma rappresenta anche un impegno importante moralmente in quanto é l'unico vero legame storico, certo, affidabile ed incontrovertibile della continuità di Piazza del Gesù - da Lemmi a Fera, da Palermi a Martini, da Ceccherini a Bellantonio: tutti nella costanza della loro grande autorità ed autorevolezza e delle legittimità che rappresentavano e che rappresenteranno: Storia alla mano.    Da Ceccherini a Francesco Bellantonio, da questi a Giuseppe  che – ancora oggi – impersonifica  e testimonia la continuità del filo conduttore della nostra Storia e tanto della nostra regolarità che della nostra legittimità nel proseguire a giocare un ruolo nel contesto della Massoneria Italiana.  
  Il tutto, comunque, è stato sempre assistito dalla presenza di Alti Dignitari, Grandi Ufficiali, e Potentissimi Fratelli che hanno prestato le loro Capacità, la loro Saggezza, la degna copertura dei loro Uffici, ora nell’uno ed ora nell’altro dei Gran Consigli dell’Ordine: testimonianza attiva, la loro, di un proseguire perenne. 
          Tutto il resto non é Storia e non fa Storia: qualunque pezzettino di carta - vero o solo virtualmente reale - che possa esser tirato fuori, a guisa di coniglio dal cilindro del prestigiatore di turno, non fa testo se non per auto-eccitare chi si sforza di magnificarne i contenuti, ovvero è utile solo per essere esibito da chi intenda dimostrare - o, meglio, per far credere - che gli asini volino, o – al massimo – che, mentre volano, poter sostenere “io c’ero”… o che “che bello il volo dell'asino… bellissimo!”.
          Ma cosa importante sotto il profilo della continuità della originaria ed autentica stirpe di Piazza del Gesù, è che identico passaggio di testimone – ideale e di Ideali -, ha legato nel tempo, seppur temporaneamente, anche altri tre Illustri nomi: quelli degli Illustri Fratelli  Giuseppe Piacentini, A. Ceccherini e F. Ceccherini - il primo, figlio del nostro Sovrano Piero Piacentini ed i secondi nipoti di quel Tito Ceccherini che, in modo eccellente, con autorevolezza e con rilevante spessore storico e sociale, fu nostro Gran Maestro e Sovrano, guidandoci con mano ferma a cavallo tra il dopoguerra e l'inizio del  boom economico, fino agli anni settanta del secolo scorso.
          Questi sono i semplici motivi per cui noi Massoni della Comunione Italiana detta di Piazza del Gesù,  nella nostra vita massonica non abbiamo mai accettato né di essere usati né di usare gli altri, né di prestarci ad esperimenti o alchimie solo per compiacere qualche tracotante e borioso soggetto: abbiamo  sempre vissuto la Massoneria con coerenza e correttezza, persino con umiltà e semplicità e non smetteremo in alcun modo di seguire questa nostra strada.
          Diversamente, sarebbe fare del teatrino a beneficio di chissà chi o di chissà cosa: certamente non della buona e corretta Causa Massonica.
          Ma se é vero che i Landmarks sono i punti di riferimento della “moderna” Massoneria Speculativa, al pari dei deliberata internazionali ed al rispetto per gli Statuti Generali dell'Ordine, é altrettanto vero che il nostro rispetto verso le Potenze internazionali muove da un carattere di reciprocità, non dovendo rappresentare un limite, facendoci troppo dipendere – talvolta in modo davvero esiziale – dagli altri e ignorando la grande capacità, la antica storicità, i valori tutti nostri e di quella sana Massoneria Italiana di cui volentieri ci facciamo portavoce: Massoneria certamente più antica e di maggiore spessore di molte altre.  
          Per noi, il sentimento di Fratellanza è Universale al pari degli Ideali Massonici: pertanto ne facciamo la nostra bandiera con uguale diritto di tutti gli altri, specie perché in ciò operiamo non solo ‘secondo le regole’ ma operiamo anche seguendo con attenzione le prescrizioni dei rituali.  Il “tu si, vai bene” e il “tu no, non vai bene” non ci è mai piaciuto: lo abbiamo sempre considerato quasi razzista e sicuramente discriminante, poco consono – anzi, opposto - allo spirito dell’Arte Reale.  
          Se proprio dovessimo utilizzare dei termini di paragone, ugualmente ‘pesanti e ‘discriminanti’, osiamo sostenere che, forse, quanti operano all'estero dovrebbero chiedere a noi l'emissione delle varie patenti per la concessione di un qualche – utile? inutile? strumentale? – ‘riconoscimento’.
          Proprio a noi Italiani: forti della presenza, della via tracciata, delle opere e del pensiero filosofico, esoterico, iniziatico e – perché no – rivoluzionario, di altri Italiani.          Di Francesco d'Assisi, di Dante Alighieri, di Elia, di Giordano Bruno, di Leonardo da Vinci, dei Maestri Comacini ad esempio, persino di Pitagora che qui soggiornò; a noi Italiani che operiamo forti di una tradizione storica che solo formalmente risale al dettato della Carta di Bologna del 1248 (che istituiva la corporazione dei muratori e dei falegnami), ma anche certamente aderenti allo spirito dell’ “Edimburg Register House” del 1696 (il primo catechismo massonico – originato in Scozia -, conosciuto con un qualche elemento di dettaglio.  Nello stesso periodo, sempre in Scozia, viene fondata la Loggia di Dumblane: al riguardo va sottolineato che già in quest'epoca gli operativi costituivano una minoranza) nonché in adesione allo spirito degli “Statuti e Ordinanze che devono osservare tutti i Maestri Muratori di questo Regno” emanati nel 1598 da William Shaw (Maestro delle Opere di S.M. il Re Giacomo II° e Sorvegliante Generale del mestiere) col consenso dei Maestri.
          E questo solo per enunciare gli elementi più certi e documentati, ma senza trascurare i fondamentali insegnamenti che dalla Magna Grecia ci hanno trasmesso Pitagora, Aristotele ed Ermete Trismegisto, e che ancor prima della potenza dell'Impero Romano esistevano e si sviluppavano.
        Noi Massoni della Comunione di Piazza del Gesù rivendichiamo a testa alta questo nostro diritto: se é vero che il 1717 segna la data di nascita della moderna Massoneria – moderna perché già speculativa nonché figlia di una serie di accordi prettamente mercantili – é vero che la Massoneria “antica” - quella operativa e contraddistinta dal culto di quei “misteri” che venivano tramandati – non morì né si trasformò né si modificò in quella data.   La Massoneria “antica” - per l'esattezza, quella degli “antichi misteri” -, quella che seguiva e attuava gli Ideali più alti e più nobili, in quanto tesi a dare concreto sostegno e sollievo a quel genere umano che “universalmente” – anche se questo termine é stato coniato successivamente - popola la Terra, ancor prima che alla “universalità” dei soli Iniziati.
        Una universalità quindi che trascende limiti e ambiti spazio-temporali  per essere meglio individuabile nelle Forze che riusciamo ad assorbire ed esprimere, nelle Energie che ci giungono fin dall'attimo del concepimento e che – in ogni atomo del nostro essere, oltre che nello Spirito – dapprima custodiamo con la Vita, per poi re-immetterle nel Grande Ciclo del Cosmo: nel momento del Finis.
        Attimi che condurranno il nostro Spirito verso un'Eternità di Bene.
        Sarà quello l'ultimo atto del nostro Esodo, grazie al quale lasceremo una Terra stupenda quanto devastata dall’Uomo e dalla sua cieca ed oscena cupidigia.
        Ma sarà contestualmente anche il momento in cui cominceremo a comprendere, il primo atto della Vera Conoscenza, parlando la Lingua di Dio e - forse - riuscendo a pronunciarne esattamente il Nome.
        Una Lingua sconosciuta su questa Terra.
        La lingua del Silenzio, del Mistero più Profondo e più Luminoso, la lingua della Serenità e della Pace.
        E' allora che si produrrà la nostra unica e vera Liberazione.
        Io dico: Carissimi Fratelli, la Comunione di Piazza del Gesù, l’unica che pratichi gli elementi fondamentali della Massoneria delle Antiche Pietre, e che da questa ne riceve unicità di riconoscimento, ha bisogno di chi – operandovi - ne abbracci le idealità, la Storia, soprattutto lo stile.
          Uno stile unico, fatto di piccole sfumature, fatto delle mille impronte lasciate da Chi ci ha preceduto.  
          Impronte che non abbiamo il diritto di disperdere…
          … meglio disperdere, o che ‘si disperdano’, questi soggetti tiepidi e inconcludenti; quanti perdono tempo e lo fanno perdere agli altri; senza concludere e senza far concludere.
          Soggetti in realtà deboli, anche se credono di dare prove di forza; materiale umano vulnerabile ai corteggiamenti, alle sollecitazioni, di chi – in fondo – altro non farà se non sfruttarli.
          Non persone, non fratelli, ma iscritti paganti; da gratificare con cariche, incarichi e orpelli vari; da irretire con favolette varie e promozioni ‘a tassametro’…
          Riflettete, riflettiamo…
          … ma dobbiamo riflettere sull’operato di chi possa girarci le spalle, tradendo i nostri sentimenti fraterni, quanto sul nostro dispiacere nel dover prendere atto di quanto poco e male abbiamo forse fatto in realtà, dal momento che non siamo riusciti a ben insegnargli ed a bene fargli apprendere.
          Che strani soggetti: lavorano in una Loggia accorgendosi all’improvviso di non sapere dove lavorano; mettono in crisi la loro identità iniziatica senza pensare che fanno parte della grande Famiglia degli ALAM, nel mondo; parlano di riconoscimenti senza riuscire a riconoscere se stessi davanti ad uno specchio e senza riconoscere i mestieranti senza storia e senza cuore cui alfine si indirizzano; giurano con l’iniziazione di essere leali e tradiscono persino l’Amicizia che loro viene offerta dagli altri loro Fratelli; parlano di ‘regolarità’ mentre operano ‘male’…   Che strani soggetti!
          Con amore fraterno, abbraccio tutti voi che leggerete questo tracciato: abbraccio tanto gli Operai volenterosi ed operosi – che, come ho detto in chiusura della ‘prima parte’, sono sulla riva baciata dal sole allo Zenith, che quei modesti operatori che in realtà – per dequalificare e sabotare il percorso comune, distruggendo il lavoro fatto – gettano alle ortiche se stessi e ciò che di buono possono aver fatto, mettendo certamente in difficoltà gli altri Fratelli.
 
Roma, 7 Novembre 2015                                   Giuseppe Bellantonio

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